[28/10/2010] News

Nagoya come Copenhagen (e Cancun)? Lo spettro del fallimento per la biodiversità

LIVORNO . Non sembra cominciata sotto i migliori auspice l'high-level ministerial segment della Conferenza delle parti della Convention on biological diversity (Cop 10 Cobd) di Nagoya, dove da ieri i ministri dell'ambiente di tutto il mondo cercano di trovare entro domani (29 ottobre) un accordo sulla nuova protezione della natura. Il direttore del Programma Onu per l'ambiente (Unep) Achim Steiner (Nella foto) ha lanciato l'ennesimo accorato appello ai delegati e la Banca mondiale ha nuovamente esposto i vantaggi della salvaguardia del patrimonio forestale, degli oceani e dei fiumi per l'economia e il benessere umano.

Eppure, nonostante il clamoroso fallimento degli obiettivi di riduzione della perdita di biodiversità e specie entro il 2010, i quasi 200 paesi riuniti a Nagoya difficilmente riusciranno a fissare nuovi obiettivi davvero condivisi da tutti per il 2020.

Ieri, il capo della Banca mondiale, Robert Zoellick, ha spiegato ai ministri dell'ambiente che anche i loro colleghi alle finanze e le imprese devono capire che la natura fornisce cibo, medicinali, turismo e materie prime per l'industria: «La produttività delle terre e dei mari sta diminuendo, e con lei i servizi ecosistemici che sono essenziali per far uscire i popoli dalla povertà. Specie in pericolo stanno scomparendo per sempre sotto i nostri occhi».

I ministri dell'ambiente a Nagoya stanno esaminando i documenti negoziati nella prima settimana della Cop 10 e un accordo sul nuovo obiettivo per il  2020 e un Piano strategico in 20 punti che mira a salvaguardare gli stock ittici, a combattere la perdita e il degrado degli habitat naturali e preservare le grandi aree terrestri e marine con aree protette.

Ma Nagoya sembra Copenhagen: i Paesi si sono divisi sugli obiettivi e su come raggiungerli e naturalmente stanno litigando su chi pagherà il costo per riparare i danni provocati da uno sfruttamento scriteriato delle risorse e su chi finanzierà la lotta per fermare la perdita di biodiversità.

I Paesi sviluppati parlano di un costo valutabile in circa 3 miliardi di dollari l'anno, ma diversi Paesi in via di sviluppo dicono che se si vuole davvero fermare l'erosione della vita sulla terra e nei mari bisogna investire 100 volte di più. Una vera è propria rivoluzione economica verde e ambientale dell'economia mondiale che fa balenare anche la Banca mondiale nel suo documento "Saving Species and Ecosystems Through Greener Economic Planning" presentato alla vigili dell'high-level ministerial segment a Nagoya

Il Paese ospite, il Giappone, ha offerto ai Paesi in via di sviluppo 2 miliardi di dollari in 3 anni a partire dal 2010, gli europarlamentari hanno sollecitato un maggiore impegno dell'Ue per la biodiversità, ma non è chiaro se l'Unione europea si accoderà al Giappone con cifre precise o se lascerà fare ai singoli Stati membri, come ha cominciato a fare l'Italia con i 100 milioni di dollari per la Redd+ forestali. A sentire quanto ha detto il direttore del dipartimento Ue per l'ambiente, Karl Falkenberg, in una conferenza stampa c'è poco da stare allegri: «Non siamo certo venuti qui con una mentalità di una conferenza dei donatori. L'Europa, negli ultimi otto anni, ha già speso almeno un miliardo di euro all'anno».

Come per il Protocollo di Kyoto, gli Stati Uniti non hanno ratificato la Cbd, sono a Nagoya come osservatori, ma condizionano pesantemente la discussione con i loro alleati e con un gioco di squadra che spesso include anche gli interessi della lobby delle grandi imprese multinazionali del campo energetico, farmaceutico e alimentare.

Il problema è che i Paesi poveri si rifiutano di firmare gli obiettivi di riduzione della biodiversità per il 2020 se non vengono messi sul tavolo i finanziamenti e il testo condiviso di un nuovo protocollo Onu che dia loro una fetta più equa dei profitti realizzati da imprese e case farmaceutiche con le loro risorse genetiche. La richiesta della fine della biopirateria e dei brevetti sul vivente appartenenti a comunità autoctone e praticamente generale tra i Paesi in via di sviluppo, che sono anche quasi sempre i fornitori. I Paesi in via di sviluppo hanno capito che con un protocollo internazionale Accees vedrebbero entrare nelle loro casse miliardi di dollari che ora finiscono nelle tasche delle multinazionali e magari di altri governi. Ma a Nagoya è forte la pressione delle imprese delle biotecnologie e farmaceutiche che si cominciano a preoccupare molto per i maggiori costi potenziali.

Il Brasile, uno degli Stati più interessati a tutto quello che stanno discutendo i ministri a Nagoya, ha chiesto che venga firmato un accordo basato su un compromesso accettabile e sulla flessibilità della sua applicazione. Il ministro dell'ambiente brasiliano Izabella Teixeira ha detto all' l'high-level ministerial segment: «Siamo tutti stanchi di interminabili riunioni, rinviano solo la soluzione dei problemi. Siamo anche stanchi di decisioni che sono dissociate dalla vita reale. Negli ultimi 10 giorni, abbiamo avuto abbastanza tempo per vedere le differenze che ci separano. Abbiamo solo tre giorni per vedere che cosa ci unisce».

Introducendo il summit del ministri dell'ambiente Achim Steiner non ha nascosto le difficoltà: «Sappiamo tutti che un risultato è in bilico, questo è sempre più lo stato delle cose nei negoziati multilaterali. L'Unep ed i suoi partner sono orgogliosi di aver portato prima qui a Nagoya le ultime scoperte scientifiche a conoscenza delle parti. La nuova mappatura, che collega le zone ricche di carbonio nei Paesi con i siti ad elevata biodiversità e le aree importanti per il sostentamento è un supporto per Redd e Redd+. Le nuove valutazioni di ordine economico, ad esempio il rapporto finale Economics of Ecosystems and Biodiversity (Teeb) che verrà portato avanti a livello nazionale da parte di nazioni come Brasile ed India. Il rapporto  Blue Harvest  che mette in luce l'enorme e spesso trascurato valore economico, per la sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza che producono le acque interne in termini di pesca. Ci sono molte strade che nei prossimi due o tre giorni possono sbloccare per l'esito del quale la gente e le specie di questo pianeta hanno urgentemente bisogno. La finanza è un grande ingranaggio potenziale  Ma il più grande potenziale della finanza pubblica si basa su una politica di lungo respiro e con segnali che ispirino indirizzino il business e il mercato verso un accordo nazionale ambientale, lo sviluppo ed obiettivi sociali. Questo è al centro del Teeb e del lavoro dell'Unep Green Economy: è al centro della promessa di Redd e Redd+ e di settori emergenti come il pagamento dei servizi ecosistemici. E' una delle ragioni per cui il Regime on Access and Benefit Sharing of Genetic Resources  è forse la cartina di tornasole del successo di questo meeting. Si tratta di una visione condivisa da tutta l'Onu e dalle sue agenzie, organizzazioni, programmi e fondi attraverso il suo Environmental Management Group (Emg) che ho l'onore di presiedere. I capi esecutivi dell'Emg stanno mettendo la biodiversità e gli ecosistemi in testa e al centro del loro lavoro, insieme al sostegno delle decisioni che verranno prese qui e in tutti i trattati biologici  nei prossimi mesi e anni. Un punto che sarà sottolineato questa settimana in una dichiarazione collettiva da parte dei capi esecutivi dell'Emg, impegnandosi a rafforzare la cooperazione e gli sforzi a sostegno della vita sulla Terra.  A sostegno anche di quella radicale trasformazione delle economie, da market-based a quelle centrally-planned, su un percorso di sviluppo sostenibile. Il tempo corre veloce qui alla Cop 10, l'anello mancante ora è davvero la volontà politica.  Se non agiamo subito e non ci muoviamo  rapidamente, i percorsi di sviluppo futuro per molti possono diventare sempre più impegnativi e il margine di manovra sempre più sottile e il piano futuro potrebbe essere quello di capire come riuscire a vivere per rammaricarsi per quello che non abbiamo fatto.  Qui a Nagoya e di nuovo a Cancun tra poche settimane, abbiamo ancora una finestra di opportunità. Una finestra di tempo in cui forgiare un futuro basato su finalità, principi di equità e sostenibilità nei confronti del nostro prossimo, uomini e donne, e sulla ricchezza della vita sulla Terra dalla quale dipendiamo».

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