[26/10/2010] News

Un nuovo rapporto Unep sulla pesca in acque interne nei Paesi in via di sviluppo

FIRENZE. Un nuovo rapporto redatto dall'Unep (il programma Onu per l'ambiente) presentato a Nagoya, sottolinea  l'importanza vitale della pesca nelle acque interne come fonte di cibo e di reddito per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Secondo lo studio "Blue harvest inland fisheries as an ecosystem service", complessivamente fiumi e laghi offrono 13 milioni di tonnellate di pesce all'anno che possono arrivare anche 30 milioni se si prendono in considerazione le catture non dichiarate. Le attività di pesca generano circa 60 milioni di posti di lavoro a tempo pieno e parziale, e altri sono forniti all'indotto. Il 70% delle attività di pesca sono svolte in paesi asiatici, il 25% in Africa, e circa il 4% in America Latina ed il pescato in gran parte è consumato direttamente dalle popolazioni  il che sottolinea l'importanza vitale di questo tipo di pesca per l'economia dei paesi in via di sviluppo. Il pesce è poi importante come fonte di proteine alimentari e di altri micronutrienti, soprattutto vitamina A, calcio, ferro e zinco fondamentali specialmente nei bambini in fase di crescita.

Nel rapporto viene poi evidenziata l'importanza dei pesci, situati al vertice della piramide ecologica, per la funzionalità degli ecosistemi di acque interne. Il loro consumo di plancton, piante, insetti, piccoli vertebrati è essenziale per la stabilità e la resilienza degli habitat fluviali e lacustri. Come è noto purtroppo negli ultimi 40 anni in tutto il mondo è stata messa fortemente a repentaglio la sopravvivenza degli stock ittici. Molte le cause citate nel rapporto accompagnate da esempi concreti: sforzi di pesca eccessivi, ipersfruttamento di acqua dolce che ha causato la riduzione delle portate dei fiumi, perdita di habitat e siti di riproduzione causati dalla costruzione di dighe, impatti ambientali di un'agricoltura intensiva, inquinamento da scarichi di acque reflue, urbanizzazione, e infine l'accelerazione imposta dai cambiamenti climatici. La costruzione di dighe è indicata nello studio come la causa maggiore di perdita di biodiversità per interruzione della continuità fluviale con conseguenze dirette sulla fauna ittica e sulle economie dei territori. A livello mondiale il numero delle grandi dighe di oltre 15 metri di altezza è aumentato da 5.000 nel 1949, a oltre 50.000 nel 2006 e poi ci sono più di 800.000 piccole dighe oggi in esercizio. Per risolvere le criticità il rapporto esorta i paesi ad adottare un "approccio ecosistemico" in cui anche il fattore ecologico venga considerato a pari degli usi antropici della risorsa idrica considerate le loro strette correlazioni. «Questa relazione ha messo in evidenza il tema spesso trascurato della pesca nelle acque interne- ha dichiarato Achim Steiner (Nella foto), direttore esecutivo dell'Unep- una svista che potrebbe avere conseguenze potenzialmente profonde».

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