[26/10/2010] News

Aspettando una governance (o un ecodittatore) mondiale

LIVORNO. L'autoillusione del mondo globalizzato, l'autoillusioone nazionale, quella neoliberista e quella neomarxista. Infine l'autoillusione tecnocratica, che  a differenza di tutte le altre illusioni  «che muovono da una minimizzazione delle opzioni politiche, la posizione tecnocratica cerca la massimizzazione dello spazio d´azione politico sotto la pressione dei pericoli per l´umanità». Nella interessante riflessione di Ulrich Beck (Nella foto),  sociologo e scrittore tedesco docente di Sociologia presso la Ludwig Maximilians Universität di Monaco di Baviera e la London School of economics, proposta da Repubblica di oggi, si smantellano una a uno le altre illusioni figlie in un modo o nell'altro della globalizzazione, per arrivare infine ad  analizzare in modo quasi cinico quel senso di inadeguatezza e di straniamento che colpisce gli ambientalisti di fronte all'inedia della politica che sembra non vedere allarmi così evidenti e quindi non prende contromisure urgenti per contrastare i cambiamenti climatici.

Un sentimento che anche in questi giorni aleggia sui fantasmi di Nagoya, negoziati che porteranno a casa briciole di risultati, preparando il terreno al fallimento di Cancun e che per esempio in Italia neppure esistono, visto che è impossibile trovare sui nostri giornali un trafiletto che dia conto di questi summit dove da tutto il mondo si discute che tipo di futuro concedere a questo pianeta e soprattutto ai suoi abitanti.

Beck rispolvera allora una vecchia provocazione, quella dell'eco-dittatore, «infatti, nel mondo dell´homo oecologicus il primato della democrazia passa in secondo piano di fronte alla necessità di una sorta di espertocrazia dello stato di emergenza, che nell´interesse della sopravvivenza imponga il bene comune mondiale contro gli egoismi nazionali e le riserve democratiche. Le tre componenti - anticipazione della catastrofe, il corsetto temporale e la tangibile incapacità delle democrazie di agire con decisione - rilanciano quasi tacitamente la visione di Wolfgang Harich di uno «Stato forte e interventista, fautore di ascetiche redistribuzioni e ripartizioni».

Restiamo sul terreno della provocazione: come potrebbe uno Stato nazionale imporre agli altri Stati nazionali il consenso ecologico? Con la guerra? Con un´ecodittatura mondiale che neghi in nuce i valori della democrazia e della libertà?

La questione-chiave in realtà è un'altra e non può essere altrimenti: «Com´è possibile si chiede Beck - la democrazia nei tempi del mutamento climatico? O, per formulare la domanda in termini ancora più incisivi: Perché lo sviluppo ulteriore della democrazia è la conditio sine qua non di una cosmo-politica del mutamento climatico?

La risposta del sociologo tedesco è abbastanza perentoria: «non c´è più via di scampo dalla convinzione che la politica nazionale nell´era globale riuscirà a svolgere la sua funzione plasmatrice e (forse) a recuperare credibilità solo nelle forme della cooperazione transnazionale (Ue!)». Noi ci chiediamo se nell'epoca della globalizzazione - e quindi delle autoillusioni assai più concrete di quella ecologica-tecnocratica - possa bastare la cooperazione transnazionale europea, ammesso che sia raggiungibile e perseguibile.

L'Europa da sola non può fare molto, ma può cominciare a segnare la via, sperando che prima o poi altri la seguano (e per altri non si può che intendere in primis gli Stati Uniti). Certo i precedenti sono tutt'altro che entusiasmanti, basta pensare al protocollo di Kyoto e alla deludente impotenza dell'Obama green revolution, annichilita dai  miliardi dollari quotidianamente versati delle lobbies repubblicane. 

Per fortuna che da noi ancora le lobbies non vanno così di moda, anche se alcune mascherate da think tank liberalisti ci sono eccome, che magari godono di interviste come quella che oggi il Sole 24 ore regala all'ex governatore della banca nazionale polacca, Leszek Balcerowicz, che afferma «Abbiamo bisogno di movimenti come i tea party americani anche in Europa. Perché la disciplina fiscale è  quello che ci serve di più in questo momento, ma essa si ottiene non solo con le modifiche del patto di stabilità, ma anche cambiando la mentalità dell'opinione pubblica».

Così mentre anche il patto di stabilità, minuscolo antipasto di una lontanissima governance globale a cui tendere, sta affondando nelle sabbie mobili delle tentazioni individualiste europee,  a livello nazionale ci si dà da fare con l'opinione pubblica, come suggerito dall'ultraconservatore  Balcerowicz, a suon di pseudo editti, fiction reality e dossieraggi.

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