[07/10/2010] News

A Tianjin va in scena lo scontro Usa-Cina. Accordo sul clima sempre pił lontano

LIVORNO. Ai Climate change talks dell'Unfccc in corso a Tianjin è arrivato alla fine il giorno dell'inevitabile scontro tra i due più grandi inquinatore del pianeta: Usa e Cina. Jonathan Pershing, rappresentante degli Usa a Tianjin e inviato speciale per il cambiamento climatico dell'Amministrazione Obama, ha accusato in casa loro i cinesi di voler tentare di rinegoziare l'Accordo di Copenhagen voluto dagli americani e dal "Basic" (Brasile, Sudafrica, India e Cina) e di metterlo in pericolo con le pretese (addirittura!) di voler percorrere le  alternative negoziali all'interno dell'Onu.

La Cina ha risposto che l'atteggiamento degli Usa è «Totalmente inaccettabile». Secondo Pershing i risultati dei primi tre giorni dei climate talks di Tianjin sono stati deludenti ed hanno rivisito solo vecchi argomenti procedurali invece che costruire un progetto sulla base dell'Accordo di Copenaghen: «Quello che è frustrante in questi negoziati è vedere questi Paesi che non lo utilizzano come base, però ri-litigano sulle cose che abbiamo già deciso nel corso dei negoziati di Copenaghen».

Gli Usa a Tianjin sembrano in bilico tra l'isolazionismo pre-elettorale e la necessità di trovare un terreno comune per non essere nuovamente indicati come gli affossatori di un accordo sul clima. Ma  Pershing è convinto che, data la lentezza dei progressi compiuti dai negoziati Unfccc, in Messico un accordo non sarà possibile, poi ha detto che i negoziatori dell'Unione europea gli hanno detto che questa piega presa dai negoziati potrebbe danneggiare il sistema delle Nazioni Unite. «E' qualcosa che deve essere preso seriamente in considerazione, perché il processo sarà molto faticoso da portare avanti continuando ad incontrarsi e avendo queste enormi sessioni con un sacco di persone che viaggiano da un posto all'altro, a meno di non utilizzare il processo con buoni risultati. Questo può voler dire che non dobbiamo utilizzare esclusivamente questo tipo di processo per andare avanti».

Insomma, gli americani preferirebbero riunioni più ristrette, tipo Major economie forum e G20, per mettersi d'accordo (come hanno fatto a Copenhagen con il Basic) e poi presentare agli altri Paesi, cioè quelli in via di sviluppo, le decisioni già confezionate.

Gli Usa, probabilmente impauriti anche da una crescita cinese che quest'anno sarà del 10,11% mentre loro arrancano ancora, mettono in discussione quindi lo stesso processo negoziale dell'Unfccc, anche se non se ne fanno fuori, e i cinesi non solo lo hanno capito, ma non hanno gradito la presenza a Tianjin di una delegazione Usa giudicata di basso profilo e che fa la faccia dura per nascondere il fatto che l'Amministrazione Obama non riesce a far approvare una legge sul clima al Parlamento statunitense.

La Cina il clima dei negoziati lo aveva annusato da tempo, ma aprendo i lavori del summit di Tianjin il capo delegazione di Pechino,  Xie Zhenhua (nella foto mentre interviene a Tianjin), è stato bravo a nascondere la  frustrazione, ma dopo le dichiarazioni di Pershing è sbottato davanti ad un giornalista (cosa che per un alto papavero comunista cinese non è mai casuale): «Un paese sviluppato di cui non farò il nome non ha fatto il suo lavoro. Non ha fornito finanziamenti o tecnologia ad altri Paesi, ma chiede loro di accettare un severo monitoraggio e azioni volontarie interne. E' assolutamente oltraggioso. E' praticamente inaccettabile».

Xie, che è anche un vice-ministro della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (il governo cinese), ha aggiunto: «Noi cerchiamo di raggiungere il picco delle emissioni il più presto possibile, ma questo dipende dall'ammontare dei fondi allocati dai Paesi sviluppati e dal tipo di tecnologie che trasferiscono, come esigono i protocolli internazionali. Più denaro c'è e più velocemente arriveranno quei fondi, più presto saremo capaci di oltrepassare questo picco delle emissioni. Alcuni Paesi sviluppati non hanno ancora raggiunto il loro picco delle emissioni, malgrado un Pil per abitante di più di 40.000 dollari all'anno, e le loro emissioni di gas serra continuano ad aumentare. In tali circostanze come possono chiedere alla Cina, Paese con un Pil per abitante di poco superiore a 3.000 dollari, di prevedere il suo picco di emissioni?. La Cina non arriverà al suo picco di emissioni prima che il suo Pil per abitante non abbia raggiunto i 40.000 dollari». Ogni riferimento al Pil Usa (e australiano) non è assolutamente casuale e una Cina con un Pil a 40.000 euro per il mondo, e soprattutto per l'ambiente del Pianeta, più che una prospettiva di giustizia è un incubo di insostenibilità.

A Tianjin i segni di nervosismo sono evidenti, nonostante la calma piatta in superficie dei primi tre giorni di colloqui. E' bastata una  stock-taking session per dar fuoco alle polveri, quando il presidente di sessione ha presentato una "to-do list" per un accordo a Cancun, il G77, che riunisce i Paesi in via di sviluppo,  e la Cina l'hanno bollata come «Prematura e squilibrata». Qualche progresso si è registrato solo su temi per i quali i negoziati sono già avanzati: forestazione, trasferimento tecnologico e finanziamento per le nazioni povere per l'adattamento ai cambiamenti climatici, ma i Paesi in via di sviluppo hanno bloccato i negoziati sul tema centrale degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

La delegazione dell'Unione europea assiste abbastanza incredula a questo scontro/stallo. Il climate strategy adviser dell'Ue, Jürgen Lefevere, ha detto al Guardian: «Stiamo fallendo su una questione tremendamente importante. L'obiettivo dovrebbe essere quello di Cancun per fissare i target definiti finora, metterli sulla carta come una sola voce dell'Onu».

Ma a Tianjin i Paesi poveri, spalleggiati dai potenti padroni di casa, non vogliono accettare impegni obbligatori uguali a quelli dei Paesi ricchi, che hanno la responsabilità storica del l cambiamento climatico e nessuno si fida più degli Usa e della loro capacità di raggiungere gli obiettivi proposti da Obama a Copenhagen e ritenuti già poca cosa rispetto alle responsabilità, al ruolo e alla ricchezza statunitense.

La delegazione americana risponde che così sarà molto difficile mandare avanti la discussione e pensare ad obiettivi più ambiziosi, necessari comunque per raggiungere l'obiettivo di mantenere entro il 2050 sotto il 2 gradi l'aumento globale della temperatura.

Una serie di ricatti incrociati e di impuntature che hanno di fatto bloccato i Climate change talks dell'Unfccc e che rischiano di trasformare Cancun in un'inutile vacanza per migliaia di persone o, ancora peggio in una vera e propria macelleria messicana dove la vittima sarà il nostro pianeta, la sua biodiversità e il nostro destino di esseri umani.

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