[06/10/2010] News

Volano le materie prime sulle macerie dell'economia? Qualcosa non torna

LIVORNO. «Da inizio anno chi ha investito in materie prime ha guadagnato - secondo i dati Reuters - fino al 55% (grano) o al 47% (alluminio). Chi ha comprato T-Bond Usa ha realizzato una plusvalenza del 15%, chi ha puntato sui junk bond dell'11,3%. Le Borse americane segnano rialzi intorno al 5% da gennaio, mentre quelle europee sono più contrastate. Qualunque scommessa, insomma, è risultata vincente in un mercato inondato di liquidità. Nel frattempo l'economia cammina sull'orlo della seconda recessione. Ma per i mercati questo è solo un dettaglio...».

Se a dirlo non fosse il Sole24Ore si potrebbe fare quasi finta di niente, ma siccome lo dice a pagina tre proprio il quotidiano di Confindustria allora è l'ennesima conferma di quello che andiamo dicendo da tempo: con questa debordante finanziarizzazione dell'economia totalmente fuori "mercato" e fuori "controllo" metter mano alle crisi - ecologica, economica, sociale - diventa una chimera. E pensare che la Commissione europea ha pubblicato giusto lunedì i nuovi orientamenti che chiariscono le regole per le industrie estrattive che operano in aree naturali protette. Può sembrare un salto logico, ma la realtà è questa sic et simpliciter: le materie prime sono quelle che ancora muovono l'economia reale ma l'economia finanziaria né ha completamente snaturato l'essenza rendendole prodotti finanziari soggetti a fluttuazione di valore che nulla ha a che vedere con quantità, qualità, impatti sociali, ambientali ecc.

La stessa Commissione Ue spiega che - nell'economia reale - «con l'aumentare della domanda di materie prime preziose, l'accesso ai terreni per l'estrazione di minerali nell'Ue acquista un'importanza sempre maggiore», ma «alcuni minerali si trovano in terreni che fanno parte di Natura 2000, la rete di zone naturali protette dell'Ue» e «i nuovi orientamenti spiegano le procedure da seguire in tali casi».

Giova ricordare che «le implicazioni economiche sono notevoli» visto che «l'industria in questione ha un volume d'affari di circa 49 miliardi di euro e occupa più di 250mila cittadini. Natura 2000, che è uno strumento fondamentale nella lotta contro la perdita di biodiversità, non esclude le attività umane. Al contrario è uno schema flessibile che autorizza le operazioni estrattive a condizione che siano sostenibili sotto tutti gli aspetti e siano effettuate senza compromettere l'integrità della rete».

Serve, si dice in questo caso che prendiamo come semplice esempio di economia ecologica, che sia «essenziale una pianificazione strategica» perché «Le risorse minerarie non sono ripartite uniformemente nell'Ue, poiché seguono limiti geologici piuttosto che confini politici. Dato che l'estrazione può soltanto avere luogo in giacimenti commercialmente redditizi, alcuni piani e progetti entrano in conflitto con utilizzi del suolo in concorrenza tra loro e con interessi sociali più ampi, come nel caso dei siti Natura 2000».

Da qui appunto l'importanza della pianificazione. Ma questa iniziativa, come quella relativa alla carenza di alcune materie prime essenziali in Ue di cui abbiamo già più volte parlato - e che peraltro sono fondamentali per telefoni cellulari, elementi fotovoltaici a strato sottile, accumulatori agli ioni di litio, cavi di fibre ottiche, combustibili sintetici e tante altre cose ancora - hanno i piedi ben piantati per "terra". Ovvero se ne conoscono le disponibilità e l'ubicazione e dunque una programmazione diventa certamente non semplice ma almeno possibile.

Può dirsi altrettanto delle materie prime "trattate" dall'economia finanziaria? Assolutamente no e questo complica non poco le cose. Fatta carta straccia di qualsivoglia regola di domanda e offerta legata alle reali disponibilità, l'economia ecologica non può essere. Ma fatica molto anche l'economia tout court visto che è la prima vittima di questo bailamme. L'economia finanziaria fa il bello e il cattivo tempo e scarica i costi delle speculazioni sull'economia reale trattenendo in larghissima parte per sé i guadagni. I governi non sanno come rispondere a questo tsunami che gli passa di sopra e di sotto e arrancano dietro a personali ricette che nella migliore delle ipotesi sono pezze su pantaloni ormai completamente sdruciti. L'occupazione intanto va a picco e non si capisce come - al di là delle nostre considerazioni generali - questo possa coincidere con una ripresa dei consumi. Crescita ad ogni costo e finanziarizzazione spinta dell'economia, anche in tempo di crisi, sono ancora i due "problemi" all'origine delle crisi stesse e che, paradosso dei paradossi, si ritengono essere anche la loro medicina. Dall'Ue qualche segnale arriva ma in questo contesto il rischi che siano voci nel deserto è altissimo.

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