[04/10/2010] News

Federmeccanica vs Fiom: se da bene comune il lavoro viene derogato a merce

LIVORNO. «Siamo per una legalità a sostegno della democrazia e dei diritti cominciando dal diritto al lavoro in uno sviluppo sostenibile nel Mezzogiorno d'Italia e nel resto del paese». Quella alla sostenibilità dello sviluppo non è solo una citazione incidentale contenuta nella piattaforma diffusa dalla Fiom Cgil per proclamare la manifestazione nazionale del 16 ottobre a Roma, indetta per dire no alle intese unilaterali e difendere il contratto collettivo. Perché senza il contratto collettivo «i rapporti di lavoro diventano rapporti di tipo commerciale, il proprio lavoro si vende come un qualsiasi oggetto materiale in un rapporto fra il singolo lavoratore e chi lo assume».

Il motivo del braccio di ferro è noto, anzi notissimo, anche se ultimamente si è perso un po' di vista il terreno da cui tutto è germogliato e che vale la pena ricordare: la vicenda nasce prima ancora che a Pomigliano a Termini Imerese e sta  nell'alveo della sovracapacità produttiva imposta al mercato dell'automotive negli ultimi decenni, drogata da incentivi statali e alimentata dall'illusione che la crescita possa essere sempre e per sempre. E che è stata disvelata dalle crisi che si sono abbattute sul pianeta - fisicamente non illimitato - mettendo a nudo una verità che anche oggi si tende a nascondere: il mercato auto motive dei paesi industrializzati è ormai solo un mercato di sostituzione, e come tale resterà inevitabilmente.

Avevamo già scritto che il caso Pomigliano con il suo referendum senza vincitori né vinti era stata un'occasione persa da tutti, e avevamo dimostrato come scrisse Scalfari che la legge dei vasi comunicanti si applica anche alle grandezze economiche, che allo stesso modo dei liquidi tendono a raggiungere lo stesso livello: «Si livellano i rendimenti del capitale, i  rapporti tra benessere e povertà, la produttività del lavoro e, naturalmente i salari».

Le favole raccontate da anni di liberismo secondo cui il trickle down  della crescita avrebbe allargato il benessere e la ricchezza si sono rivelate in tutta la loro falsità con l'intesa siglata ora da Federmeccanica in deroga al contratto nazionale, che va nella direzione opposta, cioè verso quel modello cinese in cui lo Stato è al servizio delle imprese, con la differenza che in Cina lo Stato indica alle imprese cosa fare, mentre in Italia sempre di più è l'impresa che detta allo Stato, ormai asservito. Cosa ancora più semplice con un governo che non ha idee in merito alla politica industriale.

Non è un caso allora che il governo italiano sia stato completamente assente nella vicenda Pomigliano, così come appare assente oggi sull'intesa di Federmeccanica: e non basta a giustificare questa assenza, la mancanza di un ministro dello sviluppo economico (che forse proprio oggi sarà nominato, esattamente lo stesso nome proposto 5 mesi fa!), o i mille impegni del premier che in realtà si riducono all'unico obiettivo dell'impunità imperitura, lasciando invece nel limbo dell'inapplicabilità perché prive di decreti attuativi una sfilza di leggi e norme già approvate e già annunciate in pompa magna, da rinviare sine die: Made in Italy, Sistri, tracciabilità negli appalti, riforma universitaria, nucleare... Questioni su cui si potrebbe discutere a lungo e sulle quali in molti casi i ritardi ci devono far tirare un sospiro di sollievo, ma che in generale danno il senso del disfacimento istituzionale e morale di questo «zoo Italia dove qualcuno ha aperto i cancelli e sono usciti tutti». Che poi questo messaggio lo debba far passare proprio colui che sta utilizzando la crisi per annullare le conquiste sociali avviando «una regressione materiale, civile, culturale - si legge nella piattaforma Fiom -  in cui le disparità e gli egoismi crescono senza limiti e la finanza decide sulla materialità delle condizioni di vita», allora significa che il vaso è davvero colmo.  

Anche perché una economia allo sfascio se non rispetta nemmeno il patto sociale con chi la dovrebbe trainare, leggi gli operai delle industrie, difficilmente riuscirà a rimettersi sui binari e men che mai a prendere una strada orientata alla sostenibilità.

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