[24/08/2009] News

Quanto costa l'ambiente alle pubbliche amministrazioni locali?

LIVORNO. «La spesa per consumi intermedi delle amministrazioni pubbliche» è un dossier elaborato dal centro studi del Senato che  propone un'analisi sintetica della spesa per consumi intermedi delle pubbliche amministrazioni nel periodo 2000- 2008. L'analisi identifica i componenti principali della categoria (consumi intermedi in senso stretto e acquisti da produttori market) ed è proprio da questa definizione che bisogna partire per leggere il rapporto.

I consumi intermedi, così come definiti nel Sistema Europeo dei conti nazionali (Sec95), "rappresentano il valore dei beni e servizi consumati quali input nel processo produttivo, escluso il capitale fisso il cui consumo è registrato come ammortamento". I beni e servizi possono essere trasformati oppure esauriti nel processo produttivo. La categoria economica in esame include diverse tipologie di spesa, tra cui rientrano, ad esempio, le spese di manutenzione ordinaria, i servizi di ricerca e sviluppo e di formazione del personale acquistati all'esterno o gli acquisti di farmaci.

Nei conti nazionali la spesa per consumi intermedi viene registrata nel momento in cui il bene o il servizio passa effettivamente nella disponibilità di chi lo acquista, per essere impiegato nel processo produttivo. Questo principio corrisponde, sostanzialmente, a quello adottato nella contabilità d'impresa, dove le registrazioni di competenza vengono effettuate nel momento in cui sorge il diritto/obbligo di pagamento, anche se questo si realizza, dal punto di vista economico, in esercizi futuri.

L'Istat, nella pubblicazione annuale dei conti delle amministrazioni pubbliche, distingue tra consumi intermedi in senso stretto e acquisti da produttori market. In particolare, tale distinzione è riconducibile al tipo di utilizzo del bene o servizio. Gli acquisti da produttori market riguardano beni e servizi prodotti da produttori non facenti parte delle pubbliche amministrazioni e messi a disposizione direttamente ai beneficiari, il settore delle famiglie. Si tratta, quindi, di quei servizi che non necessitano di ulteriori fasi produttive, ma che sono resi disponibili per il consumatore finale così come acquisiti. La spesa per tali beni e servizi riguarda principalmente le funzioni sanità (spese per l'assistenza farmaceutica e per le prestazioni sanitarie erogate in convenzione) e la protezione sociale.

Veniamo ai numeri. Nel 2008 la spesa per consumi intermedi delle amministrazioni locali è pari a circa 103,5 miliardi di euro (pari al 80,6 per cento del complesso della pubblica amministrazione), per circa il 59 per cento riconducibili all'acquisto di consumi intermedi in senso stretto. La crescita media nel periodo 2000-2008, risulta pari a circa 5,7 punti percentuali.

Nel periodo 2000-2008 la maggior parte della spesa è ascrivibile agli enti sanitari locali, che rappresenta mediamente circa il 60,5 per cento della spesa delle amministrazioni locali, mostrando peraltro un peso nel comparto in continua crescita (57 per cento nel 2000, 63 per cento nel 2008). La quota restante è riconducibile, in media, per circa il 25 per cento ai comuni (29 per cento nel 2000; 23 per cento circa nel 2008), per circa il 5,2 per cento alle regioni (per la parte non riconducibile alla sanità), per il 3,7 per cento alle province e la restante parte alle altre amministrazioni locali.

Al di là della difficoltà segnalata anche nel dossier, di far collimare diversi dati provenienti da fonti diverse e non sempre sovrapponibili, dobbiamo evidenziare che cosa sicuramente manca in questo dossier: innanzitutto l'approccio appare meramente quantitativo e non si va ad indagare la tipologia puntuale di queste spese o al massimo si inquadra in macrosettori senza però poter minimamente indicare se tali spese siano state virtuose (buoni investimenti in termini di benessere e qualità della vita ) oppure se siano ascrivibili alla categoria ‘sprechi'. Né tanto meno si incrocia il fatto che una spesa sanitaria maggiore possa essere determinata per esempio anche da scarse od errate spese in termini di prevenzione dell'inquinamento e di tutela della salubrità dell'ambiente in cui si vive. Se cioè situazioni come quelle trentine per esempio, siano frutto di investimenti in prevenzione che nel corso degli anni hanno fatto si che oggi per raggiungere il medesimo livello di servizi e di benessere, si spenda molto meno in taluni luoghi che in altri, dove invece prevenzione non si è fatta e si è costretti a rincorrere le ‘riparazioni'.  Infine, visto che si parla di acquisti, è bene segnalare che non si fa la benché minima attenzione ad una delle leggi italiane più neglette (in realtà è in buona compagnia), cioè alla norma che impone agli enti pubblici di destinare una quota degli acquisti (il 30%), ai prodotti realizzati in materiale riciclato, così come alla direttiva europea sul green public procurement.

Ad ogni buon conto, qualche spunto interessante, seppur molto interpretabile, il dossier lo fornisce, soprattutto nelle tabelle che fotografano la composizione degli acquisti di beni, materie prime e prestazioni di servizio divisi per macrosettori: nell'anno 2007 per esempio hanno speso 6 miliardi di euro per acquisti di carattere ambientale (ovviamente non si specifica cosa rientra in questo parametro), con la parte del leone che la fanno Lombardia (902 milioni, il 26% del totale delle proprie spese) e Campania (902 milioni, 42% del totale), anche se la classifica cambia se si prende in considerazioni le percentuali ( il 45% degli acquisti dei comuni calabri sono dedicati all'ambiente, seguiti appunto da Campania e Molise (41%). Chi spende meno in beni e servizi dedicati all'ambiente risultano essere a sorpresa il Veneto (15,6%) e il Trentino Alto Adige (18,8%).

Da segnalare però che c'è anche un terzo criterio attraverso cui leggere queste tabelle, che ancora una volta ribalta la fotografia: se infatti si incrociano le spese con la popolazione residente emerge come sia la Sardegna la regione che spende di più nel settore ambientale (173, 2 euro a persona), seguita da Campania e Molise (155 euro) fino ad arrivare alla più parsimoniosa di tutte che risulta essere il Veneto, dove la regione spende in beni e servizi ambientali appena 49,7 euro a cittadino.

Insomma. In mancanza di ulteriori parametri qualitativi viene da pensare che forse si spende meno laddove la situazione è migliore dal punto di vista ambientale oppure dove la filiera è più sana e gli sprechi sono ridotti al minimo.

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