[24/09/2010] News

Chi è ‘l'utilizzatore finale' dei parchi

PISA. Prendo a prestito questa infelice definizione utilizzata per ben altre e poco nobili vicende per cercare di capire il senso e la portata della crisi dei parchi e sulle ragioni che la rendono così rischiosa per quell'assetto istituzionale di cui si sta -si fa per dire- discutendo tra ampolle e ostentata mostra di 'diti medi'.

Quando con ritardo rispetto ad altri paesi anche il nostro si decise a mettere mano alla istituzione dei parchi ciò avvenne perché con la istituzione delle regioni che erano state in sonno per lunghissimo tempo lo stato aveva finalmente portato a termine quel disegno costituzionale rimasto per decenni lettera morta. Ora, con i parchi non a caso istituiti subito da alcune regioni e assai prima dello stato centrale che dovette pensarci e armeggiare ancora a lungo prima di varare la legge quadro del 91, si riconobbe che un soggetto come il parco dotato di competenze specificamente ambientali soggette per la prima volta -rispetto anche ai vecchi parchi storici- a pianificazione integrata, consentiva allo stato inteso nella sua nuovo e completato assetto istituzionale, di farsi carico di competenze fino a quel momento ignorate o considerate comunque estranee al governo pubblico del territorio.

L'utilizzatore finale dei parchi insomma è lo stato e non solo quello di Roma come del resto lo era e doveva esserlo della legge 183 per la tutela del suolo. Entravano in partita così non più solo il paesaggio che in gioco era entrato solennemente e autorevolmente con l'art 9 della Costituzione, ma anche il suolo e la natura.

Come tutte le novità importanti anche queste e specialmente i parchi che coinvolgevano per la prima volta non soltanto stato e regioni ma anche comuni e province in politiche e scelte non più marginali ma di fondo per territori peraltro assai appetitosi per una speculazione che in Italia non è mai andata in ferie, suscitarono anche più d'un mal di pancia. Ora anche il più piccolo comune operante in territori a rischio di operazioni micidiali poteva, infatti, mettere becco e poteva farlo non da solo ma ‘in leale collaborazione' con altri comuni, province, regioni e lo stato e farlo con strumenti efficaci. Non si trattava evidentemente di quisquiglie e lo si vide subito.

Tutti i pretesti e anche le bufale più clamorose (ad esempio lanci organizzati di vipere!) furono utilizzati per mettere i bastoni fra le ruote compreso quello più assurdo che il parco sottraeva potere, espropriava i comuni che di potere su queste cose non ne avevano mai avuto e continuavano a non averne se non grazie appunto al parco che in molti casi e non soltanto nella pineta dei Salviati a Migliarino consentì di evitare scempi micidiali.

Il bilancio di questa scelta strategica nonostante tutto è ampiamente positivo vuoi per il numero di parchi e altre aree protette istituite vuoi e non di meno per le cose fatte senza sprechi ma con risultati nel complesso - le pecore nere non mancano mai- estremamente positivi. E' però altrettanto chiaro e lo si vede orami fin troppo bene che questa rete di parchi sebbene non si sia riusciti per responsabilità principale ma non esclusiva dello stato a farne un vero sistema come invece è accaduto in altri paesi anche a noi vicini, costituisce un ostacolo, un intralcio a chi procede a colpi di condoni, discariche collocate dove capita, cementificazione dissennata.

Ecco allora e prima ancora di Tremonti e dei suoi tagli irresponsabili, Calderoli che li vuole abrogare, il ministro dell'ambiente che pensa a forme di ‘privatizzazione' un vero e proprio ‘sarchiapone' istituzionale, a cui si aggiunge una vera e propria campagna volta a far credere che è saggio e rimpingua le casse dello stato un consigliere o due in meno in un ente parco, un direttore o un biologo in meno è demagogia allo stato puro.

Il fatto vero è che dietro questa cortina fumogena in cui si sono esercitati anche ministri e sottosegretari ma anche assessori regionali con le sortite più strambe e grottesche dagli attracchi per i Briatore di turno in qualche paradiso protetto o una bella spalmata di campi da golf per cassantegrati come ha detto Bossi alla Brambilla che tra cani e mazze non ha di meglio da offrire, c'è la precisa anche se non sempre dichiarata volontà di mettere in cassa integrazione i parchi.

Insomma sgombrare il più possibile il campo dove possano operare più tranquillamente le cricche varie da quelle dell'eolico a tutte le altre che della tutela della biodiversità come del paesaggio non gliene potrebbe fregare di meno. E che questo sia il vero obiettivo e rischio lo conferma lo stato più generale delle nostre istituzioni proprio nel momento in cui si parla di riforme, federalismo e via chiacchierando.

Tutte il sistema è in crisi, traballante e precario e tutti regioni, province, comuni, comunità montane pencolano e boccheggiano. I parchi pagano lo scotto di essere il soggetto più qualificato, specializzato e addestrato di cui le istituzioni -appunto l'utilizzatore finale- si sono dotate per agire al meglio in campo ambientale. Chi in campo ambientale oggi non vuole intralci è chiaro che innanzitutto mette l'occhio ( e non solo) sui parchi. E' chiaro se questo è il rischio anche la risposta nazionale delle regioni deve essere adeguata. Ora non lo è e basta vedere quello che sta succedendo anche in molte regioni e non solo a Roma.

Torna all'archivio