[23/09/2010] News

Il Profumo della notizia

LIVORNO. Un bell'editoriale di Daniele Bellasio sul Sole 24 ore di oggi legge il caso Unicredit da un altro punto di vista, quello della meta comunicazione. Le dimissioni dell'amministratore delegato Alessandro Profumo sono state date per certe per due giorni, prima che l'interessato le mettesse nero su bianco nel cuore della notte tra martedì e mercoledì. Il tutto dunque è avvenuto a mercati aperti, che sono stati inevitabilmente influenzati dall'anticipazione delle dimissioni prima, dalle dimissioni certe ma non ancora ratificate dopo, dalle smentite e dalle nuove poltrone - soprattutto politiche - messe già sotto Profumo.

Bellasio evidenzia il paradosso  giornalistico per cui «soltanto ciò che non è ufficiale è una notizia, che si deve arrivare per primi alla conclusione finale, anche se nel frattempo ci si dimentica degli avvenimenti reali». Ma a questa riflessione sull'etica del mestiere del giornalista - alla quale aggiungiamo noi quella che anche il giornalista è sul mercato, e pertanto risponde a quelle che sono le richiesta del mercato, per cui l'accusa di essere magari truculenti, cinici e di s cavare nel torbido va rivolta anche a chi quelle notizie le legge con avidità - il collega del Sole 24 ore aggiunge anche un altro aspetto: «Anche perché l'informazione eccitata e vorticosa di questi giorni si è intrecciata con i problemi della continua transizione, concorrenza e integrazione tra carta stampata e internet, e con i rilanci della televisione, mentre il titolo perdeva e perdeva in borsa... In una società complessa che ha bisogno di tempo per ponderare e verificare informazioni che influenzano i mercati come la vita delle persone, i due mondi dell'informazione quotidiana, internet e la carta stampata si stanno contagiando più nel peggio che nel meglio».

Perché poi, ammette Bellasio, i dati sull'audience in tempo reale di internet spingono «a titoli forzati, a scegliere parole chiave utili a catturare un motore di ricerca» o più probabilmente un aggregatore di notizie come googlenews, che da una parte è inviso a gran parte degli editori, dall'altra però sta diventando un formidabile diffusore di notizie e di pagine viste, ma è, soprattutto, un "uni formatore" di notizie, visto che i suoi algoritmi sono ovviamente in grado di leggere la forma esterna, superficiale, ma non certo di comprendere la qualità della notizia, o la sua unicità, il suo essere ‘fuori dal coro' senza copiare le agenzia di stampa e senza fare il megafono di nessun altro media. 

Se dunque si candida giustamente internet al nobel per la pace, come ripetuto più volte diventa allora fondamentale la formazione e la cultura dell'individuo, nelle quali l'informazione svolge un ruolo primario. Partendo però da un presupposto che potremmo forse chiamare diritto all'ignoranza, o comunque diritto a delegare qualcuno che mi rappresenti, perché così come dobbiamo conoscere i limiti fisici del pianeta che ci ospita per programmarne uno sviluppo sostenibile e duraturo, allo stesso modo dobbiamo consapevolmente accettare i limiti fisiologici delle persone, di coloro che non possono e di coloro che non vogliono essere educati. I partiti politici dunque, mediatori tra governati e governanti dovrebbero svolgere anche questa funzione, di semplificare i messaggi e di meritarsi la fiducia data loro da chi li ha delegati.

Questa fiducia che si sta via via deteriorando è la vera malattia della politica, non solo italiana, incapace di dimostrarsi affidabile. Col rischio che si deleghi sempre più i propri convincimenti al primo algoritmo che capita. «La tecnologia ha un futuro ineluttabile - scrive Kevin Kelly nel suo ultimo libro "What technology  wants", recensito oggi su Nova  - per esempio è inevitabile che saremo sempre più connessi, ma non è scontata la qualità di questa connessione, se rispetterà o no la privacy, se servirà ad aumentare la democrazia o il totalitarismo.... Lo scopo è direzionare le tendenze tecnologiche perché si esprimano al meglio e noi possiamo trarne vantaggio... e se ci capita che la tecnologia con il progresso ci danneggi, è perché le abbiamo impedito di fare al meglio il suo corso».

Aggiungiamo che la tecnologia e il progresso non si muovono per inerzia. C'è sempre qualcuno che li spinge. E se a spingerli in una determinata direzione è la politica, delegata a rappresentare i cittadini, l'indirizzo potrebbe essere verso una redistribuzione alla collettività dei miglioramenti sociali ambientali ed economici. Se invece a spingere la tecnologia e il progresso sarà il mercato, allora la direzione sarà ineluttabilmente (e logicamente) quella del massimo profitto.

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