[21/09/2010] News

Fotovoltaico: regolamentare, non scoraggiare

Tutto il mondo ambientalista e la grande maggioranza dell'opinione pubblica ha salutato l'installazione di 100.000 impianti fotovoltaici in Italia e il raggiungimento di 1.500 Mw di potenza installata come un fatto importante e positivo e ha contribuito all' approvazione del nuovo conto energia che da continuità agli incentivi almeno fino al 2013.

L'idea di "catturare" direttamente dal sole una energia  ampiamente disponibile e continuamente rinnovabile e di trasformarla in energia elettrica utilizzabile è per tutti una grande innovazione, il simbolo che si può produrre e consumare in modo nuovo, ambientalmente sostenibile senza per questo dover arretrare il nostro grado di civiltà e la nostra qualità della vita. Anzi.

Ultimamente però una parte del mondo ambientalista, del mondo agricolo e anche alcuni amministratori pubblici esprimono  preoccupazione per il rischio che un eccessivo sviluppo di grandi impianti  fotovoltaici a terra riduca la disponibilità di suolo per uso agricolo e in particolare per la produzione di cibo.

Crediamo che sia giusto aprire su questo un confronto aperto, sereno e approfondito che eviti di determinare nuove pericolose divisioni nel modo ambientalista (fra "realos" e quelli del no sempre)   e che soprattutto contribuisca a trovare un giusto equilibrio che non freni, anzi incrementi l'uso di fonti rinnovabili, come è necessario, ma nel contempo le indirizzi verso le soluzioni più corrette e vantaggiose.

Su un punto siamo tutti d' accordo: la collocazione ottimale e a bassissimo impatto dei pannelli fotovoltaici oggi e magari domani delle " vernici fotovoltaiche " è sui tetti e sulle pareti dei milioni di edifici che esistono nel nostro Paese. Non solo delle case per i piccoli impianti famigliari ma di capannoni industriali, commerciali ed agricoli che presentano superfici significative, ma che in Italia (se si eccettua il Trentino Alto Adige) sono ancora ben poco utilizzate.

Da questo punto di vista il nuovo conto energia accentua il differenziale di incentivazione tra gli interventi sui tetti e quelli a terra e nel tempo tale differenza dovrà ulteriormente accentuarsi per convincere anche le grosse società che hanno investito (ed è stato comunque un fatto positivo per favorire lo sviluppo iniziale  di una tecnologia innovativa) in fotovoltaico a scegliere l'uso dei tetti, magari in affitto o con diritto di superficie, anziché procedere all'occupazione di decine di ettari di aree agricole.

Ma detto questo, in questa fase, sarebbe opportuno vietare tout court qualsiasi nuovo impianto fotovoltaico a terra?
Proviamo a ragionare insieme. Di che cosa stiamo parlando concretamente?  In Italia sino ad ora è stata occupata da impianti fotovoltaici lo 0,045% della superficie agricola disponibile. In provincia di Ravenna, una delle realtà più attive sul fotovoltaico, se venissero accolte tutte le domande sinora pervenute si occuperebbero quasi 900 ha circa lo 0,1% della SAU. Dunque è ancora un fenomeno quantitativamente contenuto, infinitamente meno importante rispetto all' erosione che annualmente l'agricoltura subisce a causa dell'urbanizzazione sempre più accentuata e spesso non necessaria.

In secondo luogo realizzare un impianto fotovoltaico oggi non produce, a differenza dell'urbanizzazione, una trasformazione irreversibile. Trascorsi 25 anni in poche ore si tolgono i paletti di sostegno e qualche cavo e il terreno ritorna perfettamente utilizzabile per l' agricoltura.
 Terzo, se è vero che a livello mondiale la produzione di cibo ha una importanza primaria, a livello europeo e italiano da anni siamo  in sovrapproduzione e spesso  i prezzi dei prodotti non garantiscono ai coltivatori, specie ai piccoli coltivatori, un reddito soddisfacente e paragonabile agli altri settori. Da questo punto di vista l'integrazione dell' agricoltura con l'impiego di fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, piccoli impianti a biomasse a filiera corta o cortissima) possono favorire una utile integrazione al reddito e quindi il mantenimento dell' attività anche in aree marginali o non molto produttive.

Infine dobbiamo tener conto che l'obbiettivo fissato dall' Unione Europea per l'Italia per il 2020 è il 17% dell'intera produzione energetica da fonti rinnovabili e oggi, nonostante il passo avanti compiuto, siamo ancora all' 8% in gran parte assicurato dal vecchio idroelettrico. E dunque abbiamo bisogno per contribuire a contrastare l' effetto serra e i cambiamenti climatici anche di una crescita significativa di impianti fotovoltaici.

Per questo l'ottica più corretta pare sia quella di regolare con leggi nazionali e regionali e regolamenti comunali e provinciali integrati, più che vietare e scoraggiare in modo generalizzato.
Ad esempio pare in questa fase  opportuno consentire a produttori agricoli piccoli e medi di utilizzare una parte percentuale della loro terra per piccoli impianti fotovoltaici che compensino i consumi energetici dell' azienda e consentano una integrazione al reddito per garantire il mantenimento dell' attività.

Più complesso il discorso per i grandi impianti realizzati su terreni  da società di tipo extra-agricolo in cambio di un affitto pagato al produttore . Per questi occorre studiare una normativa che da un lato le orienti verso i tetti o verso aree davvero marginali (es. discariche o cave  dismesse), che vieti tassativamente l'installazione in aree di elevato valore naturalistico o paesaggistico o caratterizzate da colture agricole specializzate e  che dall' altro incentivi la ricerca di soluzioni innovative  che rendano effettivamente compatibili tali impianti con forme di produzione agricola e di allevamento.  Ad esempio l' installazione di impianti fotovoltaici ad inseguimento intervallati in maniera tale da consentire la lavorazione del suolo potrebbe  consentire  una produzione sinergica di energia solare, cereali, viti, ortaggi... Inoltre a queste società un territorio dovrebbe chiedere in cambio dei vantaggi degli incentivi un impegno concreto per la ricerca e la produzione di componenti per le rinnovabili al fine di creare green economy e occupazione qualificata nel territorio. Ci auguriamo che la Regione Emilia-Romagna possa studiare e approvare in tempi rapidi  anche su questo una legislazione innovativa che regoli e orienti senza frenare la crescita  di un settore chiave per uno sviluppo più sostenibile.

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