[17/09/2010] News

Le 5 minacce per l’ambiente del Libano

LIVORNO. Il Libano è un Paese del Mediterraneo nel quale operano truppe di pace italiane ai confini con Israele, ma del quale non sappiamo molto, se non per le scaramucce tra Hezbollah e i partiti anti-siriani e per il ricordo ormai quasi perso di una lunga e devastante guerra civile tra cristiani maroniti, musulmani e drusi e per le stragi di palestinesi perpetrate dall'esercito israeliano e dalle milizie collaborazioniste nei campi profughi di Shabra e Shatila, nell'ormai lontanissimo 1982.

Eppure questa storia sanguinosa e un presente tribolato hanno lasciato in eredità al Paese dei cedri un preoccupante fardello di minacce ambientali: inquinamento dell'aria e dell'acqua, aggravato dai rischi legati al cambiamento climatico e dalle ripercussioni della guerra israelo-libanese del 2006.

Secondo la Fao, a causa della distruzione degli habitat, l'industria libanese della pesca, che dà lavoro a 6.500 persone, rischia di esaurire le sue risorse se una parte del mare che bagna le coste del Libano non verrà dichiarata al più presto area protetta. Il rapporto di Greenpeace "A Network of Marine Reserves In The Coastal Waters of Lebanon?" spiega che «18 riserve di riproduzione delle specie marine designate dovrebbero essere realizzate lungo il litorale libanese per ripopolare le popolazioni di pesci in via di scomparsa, che diminuiscono a da oltre 30 anni». Il Parlamento di Beirut ha recentemente approvato una nuova legge che dà il via libera allo sfruttamento di  giacimenti di gas e petrolio offshore e Greenpeace avverte che «Le acque della costa libanese saranno gravemente minacciate dagli sversamenti accidentali se in libano si svilupperà lo sfruttamento di giacimenti di petrolio marini».

Ma il mare, che rappresenta una buona fetta del rilancio turistico del Libano, non è la sola preoccupazione: gli scienziati hanno trovato che a Beirut gli inquinanti in sospensione nell'aria hanno ormai raggiunto un livello di concentrazione pericoloso per la salute umana e stanno aumentando le malattie respiratorie. Inoltre il clima mediterraneo del Libano, con prolungate calme di vento, imprigiona i gas nocivi. Un rapporto sottolinea che il 52% dell'inquinamento dell'aria è causato dal traffico automobilistico, intensissimo nella capitale, dove c'è una media di 2,6 auto per abitante.

I settori economici più a rischio sono agricoltura e turismo. Un rapporto del 2009 dell'International institute for sustainable development intitolato "Rising Temperatures, Rising Tensions" evidenzia il legame tra il continuo indebolimento delle risorse naturali e l'aumento delle tensioni tra le varie comunità libanesi e con i potenti Paesi vicini. Secondo l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, Irin; «Il 60% delle attività economiche sono in effetti condotte su una stretta fascia del litorale, lungo il Mediterraneo; ora, questa zona potrebbe essere soggetta alle inondazioni e all'erosione, con l'innalzamento previsto del livello del mare. Il cambiamento climatico potrebbe ugualmente mettere fine ad alcune attività economiche prima realizzabili, quali esportazione di coltivazioni che consumano acqua».

Il Libano per quanto riguarda l'acqua è stato fino ad ora il Paese del Medio Oriente più "fortunato", con precipitazioni annuali medie che superano gli 800 milioni di m3 e che permettono di alimentare più di 2.000 sorgenti durante la stagione secca, che dura 7 mesi. Ma questo non vuol certo dire che nel Paese l'acqua sia abbondante: in alcune aree durante la stagione secca ogni famiglia non può avere più di 50 litri di acqua al giorno, cioè quello che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità rappresenta il minimo per mantenere un ambiente umano sano. Ma secondo i ricercatori questo scenario è destinato a cambiare in peggio: «Sono i centri urbani che subiranno le principali carenze d'acqua», spiega l'lrin. Un bel problema, visto che il fenomeno dell'urbanizzazione in Libano è arrivato a livelli altissimi: l'80% della popolazione vive in ambiente urbano. In giorni di pioggia sono calati dagli 80 - 90 all'anno di  20 anni fa ai 70 di oggi. Ma l'intensità delle precipitazioni è aumentata in proporzione alla diminuzione dei giorni di pioggia, così nel terreno si infiltra meno acqua e la maggior parte delle precipitazioni scorre in superficie, causando erosione dei suoli, frane, inondazioni e contribuendo alla desertificazione.

Il 35% dell'acqua del Libano proviene dalla neve che imbianca i suoi monti l'inverno, ma secondo i ricercatori del Centre régional de l'eau et de l'environnement dell'università Saint-Joseph de Beyrouth, l'aumento delle temperature e la diminuzione delle nevicate hanno fatto innalzare il limite delle nevi eterne. La più grave catastrofe ambientale libanese è però la guerra dell'estate 2006, quando gli israeliani bombardarono la centrale elettrica di Jiyeh provocando lo sversamento di 15.000 tonnellate di petrolio in mare e inquinando 150 km di coste libanesi ed anche un tratto del litorale siriano.

Un inquinamento che ha avuto conseguenze meno gravi grazie anche all'intervento dei mezzi navali anti-inquinamento italiani, un altro patrimonio di esperienza praticamente in stand-by e fatto a brandelli per le assurde politiche del nostro governo che "risparmia" sulle nostre eccellenze.

Secondo il "Rapport d'évaluation environnementale post-conflit" pubblicato nel 2007 dall'Unep, «Generalmente, i conflitti lasciano un'eredità riassumibile in problemi ambientali e sanitari legati alle ceneri tossiche o pericolose, al petrolio, ai metalli sporchi, alle sostanze chimiche industriali, alle macerie, ai rifiuti solidi ed alle acque reflue. Questi possono essere pericolosi per la salute del personale incaricato delle bonifiche e per le comunità locali, e possono infiltrarsi nelle riserve idriche, in diverse zone, se queste aree non sono interamente decontaminate e se l'inquinamento non viene contenuto». Insomma, quello che sembra sia successo in Libano.

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