[17/09/2010] News

Lester Brown al Wec: «L’evoluzione dallo status quo verso una politica verde e sostenibile č possibile»

LIVORNO. Si è concluso a Montréal, in Canada, il World energy Congress 2010 (Wec) che è stato segnato, anche nell'intervento conclusivo del presidente del  World energy council, Pierre Gadonneix, dalla complessità e anche da un atteggiamento delle grandi imprese energetiche che hanno organizzato l'iniziativa cercando di tenere tutto insieme, in un mix che comprende petrolio e carbone, nucleare ed energie rinnovabili, combustibili fossili e fotovoltaico... E' però indubbio che il Wec 2010 abbia rappresentato un'apertura alle ragioni ambientali ed alle nuove energie e che ambientalisti e scienziati siano stati le vere star di alcune tavole rotonde, a cominciare da quella "sustainable energy solutions for mankind and the planet", introdotta da un intervento di Lester Brown (Nella foto), il presidente dell'Earth policy institute, dalla quale è emerso che «Dopo l'identificazione degli impegni riguardanti i cambiamenti climatici con i  quali si confronta il settore dell'energia, la tappa seguente richiede l'elaborazione di un piano d'azione che sia accettabile tanto per le economie sviluppate che per quelle emergenti».

Alla tavola rotonda, presieduta dal ministro dell'ambiente del Canada Jim Prentice, hanno partecipato anche 4 esperti in rappresentanza delle industrie energetiche che insieme a Brown hanno discusso di come passare dal Plan A, o "business as usual"  al Plan B, o "sustainable green energy policy". Questa sessione del Wec 2010 è stata preceduta da una presentazione di quel che sta succedendo ai ghiacciai della Groenlandia, uno scioglimento che doveva rappresentare una metafora dello stato di salute della civiltà umana, ma che non sembra aver impressionato molto Younghoon David Kim, presidente del Daesung Group sudcoreano, che ha avvertito: «Però, se il prezzo del petrolio si indebolisce nuovamente, l'energia rinnovabile potrebbe diventare vulnerabile».

Lester Brown non è stato al gioco del realismo-fatalista del sudcoreano: «Dobbiamo prendere questa sfida sul serio - ha detto - Lo scioglimento dei ghiacciai in Asia è altrettanto preoccupante. Permette ai Paesi di funzionare durante la stagione secca ed ha degli impatti sui raccolti di grano e di riso in Asia. Potrebbe anche colpire il resto del mondo a causa del rialzo dei prezzi degli alimenti. E per ogni grado di temperatura in rialzo possiamo contare un calo del 10% nei rendimenti dei suoli».

Poi Brown ha messo i piedi nel piatto del Wec ed ha affondato il coltello nella piaga delle contraddizioni di questo modello di sviluppo e ha demolito la sua presunta inevitabilità: «Il potenziale dell'energia rinnovabile è immenso. Così, il Texas, il principale produttore di petrolio nel corso dell'ultimo secolo negli Stati Uniti, è attualmente il più importante produttore di energia eolica. La Cina dispone di energia eolica utilizzabile sufficiente a moltiplicare il suo consumo corrente di energia per 18, mentre l'Algeria dispone di energia solare sufficiente ad alimentare l'economia mondiale. Bisogna che il mercato dica la verità. Qual è l'impatto economico sul clima della combustione di una tonnellata di carbone? E' impossibile dargli un prezzo, ma non dovremmo allora ridurre le imposte e aumentare la tassa sul carbone?»

Yvo de Boer, l'ex segretario dell'Unfccc ed oggi riciclatosi come consigliere speciale per i cambiamenti climatici e la sostenibilità della Kpmg International, ha detto che «Per passare dal Piano A al Piano B, dobbiamo ottenere una riduzione dell'80% delle emissioni da parte dei Paesi industrializzati. Il Piano A e il Piano B hanno tra loro un contrasto marcato. Come possiamo creare un ambiente politico che faccia prosperare queste nuove tecnologie? A che punto siamo arrivati nel ribaltamento dell'ambiguità politica della realtà economica?». E' chiaro che de Boer è stato scottato ed ammaestrato del fallimento del summit climatico di Copenhagen dove, malgrado una conclamata volontà politica e anni di defatiganti Climate change talks, non è stato approvato un trattato internazionale  che preveda chiari impegni ed azioni, ma l'ex responsabile dell'Unfccc non ha perso del tutto la speranza: «Dobbiamo basarci sull'Accordo di Copenhagen. Dovremmo svilupparlo, facendo riferimento alle sue linee guida nei nostri approcci al Plan A ed al Plan B».

Secondo Pierre Duhaime, presidente di Snc Lavalin inc, «L'impegno principale non è legato alla tecnologia, ma alle comunicazioni tra l'industria, i governi e le altre parti interessate. I differenti gruppi devono incontrarsi per discutere degli impegni. Quando le persone si siedono intorno ad un tavolo, troviamo delle soluzioni. Dobbiamo gestire la domanda così come dobbiamo gestire l'offerta. Abbiamo bisogno di soluzioni vere e sostenibili per il settore energetico. Come possiamo lavorare con un calendario di 20 anni per realizzare un investimento che dipende dalle politiche pubbliche? E per questa ragione che gli investimenti nell'energia rinnovabile sono stati lenti. Non possiamo sempre affidarci alla buona volontà del governo per mantenere le sovvenzioni su un periodo così lungo. Esiste una disconnessione tra quello che la popolazione chiede e quel che possiamo offrire. Io non intravedo nessun cambiamento in un passaggio verso le energie rinnovabili nel corso dei prossimi 20 anni». E meno male che bastava mettersi intorno ad un tavolo (che in questi anni non sono certo mancati, anzi sono stati fin troppi) per risolvere tutto...

Il coreano Kim ha svelato le crepe esistenti in quello che nei negoziati internazionali sembra un monolite: «Anche la comunità energetica è un gruppo diviso. Quel che ci separa è la divisione tra gli acquirenti e i venditori, tra gli importatori e gli esportatori e tra i  Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Il mercato dell'energia non potrà stabilizzarsi tra l'offerta e la domanda. Paesi come l'Arabia Saudita, la Russia e il Messico sono più preoccupati per la sicurezza della domanda che per la sicurezza dell'offerta. La posizione dominante del petrolio e del gas non scomparirà entro il 2030. il migliore scenario sarebbe quello di persuadere gli investitori di petrolio ad investire nell'energia sostenibile per rimpiazzare l'offerta in declino».

Una cosa che sta facendo il suo Paese secondo Jose Antonio Muniz Lopez, presidente della Eletrobras, «Il Brasile si dà da fare per trovare altre fonti di energia rinnovabile a completamento dell'idroelettrico, come l'eolico. Stiamo realizzando un parco eolico da 5.000 MW e prevediamo già che il 10% della nostra produzione energetica proverrà dall'eolico, così come da altre fonti rinnovabili come il solare la biomassa. Questi progetti ci permetteranno di adattare e di utilizzare delle fonti di energia rinnovabile. Electrobras è in discussione con altri Paesi dell'America latina che attualmente utilizzano il petrolio e vuole mettere questa energia a loro disposizione». Ma Muniz Lopez non nasconde l'altra faccia della nuova potenza energetica sudamericana. «Il Brasile ha fatto delle importanti scoperte di gas e dispone di un programma nucleare. Abbiamo buone riserve di uranio, risorse che non abbiamo finito di esplorare. Continueremo a concentrarci  sull'energia elettrica, principalmente di fonte eolica e solare. Ma non dimenticheremo gli altri aspetti. Oggi, i nostri bisogni di energia sono universali. Saremo probabilmente in grado di raggiungere i nostri obiettivi con tutte queste fonti di energia. Abbiamo appreso molto sulla sostenibilità e sulle esigenze sociali».

Lester Brown non sembrava molto convinto che questo avesse a che fare con il suo Plan B, ma probabilmente ha pensato che il cammino verso una vera "green policy" passa anche da queste contraddizioni, speriamo solo che la traversata del deserto dello status quo della politica "business as usual" sia abbastanza veloce.

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