[09/09/2010] News

Fidel, il nucleare, l’Iran e gli ebrei nella crisi del modello cubano

LIVORNO. Non a tutti succede di ricevere un invito ad andare a vedere i delfini nell'acquario dell'Avana da Fidel Castro e non ci credeva nemmeno Jeffrey Goldberg, un giornalista del mensile statunitense The Atlantic, corrispondete per l'Africa e il Medio Oriente, che ha scritto il libro  "Prisoners: A Story of Friendship and Terror", e che ha immediatamente lasciato la California per volare a Cuba per fare al vecchio caudillo comunista un'intervista che potrebbe essere il segno di un mutamento nella politica estera ed interna dell'isola. Goldberg si è portato con sé uno dei maggiori esperti di Cuba e di America Latina, Julia Sweig, del Council on Foreign Relations, che conosce Castro da più di 20 anni. Il Comandante en Jefe voleva parlare soprattutto delle sue preoccupazioni per una possibile guerra  (che ritiene inevitabile) nel Medio Oriente tra Iran e Usa e quello che chiama «Il gendarme del Medio Oriente», Israele.

Goldberg  ha chiesto al vecchio dittatore se la sua malattia gli avesse fatto cambiare idea sull'esistenza di Dio, «Mi dispiace - ha risposto Fidel - io sono ancora un materialista dialettico».  Castro è partito proprio da qui per sviluppare un sorprendente discorso su Israele, l'ebraismo, l'slam e il pericolo nucleare. Si è rivolto direttamente al premier israeliano Benjamin Netanyahu, dicendo che «E' semplice: Israele avrà la protezione solo se si libera del suo arsenale nucleare, e il resto delle potenze nucleari del mondo avranno la protezione solo se anche loro rinunciano alle loro armi. Il disarmo nucleare globale e simultaneo è, ovviamente, un obiettivo lodevole, ma non è realistico nel breve periodo».

Ma Castro ha mandato un messaggio anche al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad  che sembra infastidirlo sempre di più con il suo antisemitismo che arriva fino alla negazione dell'Olocausto. Secondo lui il governo iraniano servirebbe meglio la causa della pace smettendola con l'antisemitismo e cercando di capire perché gli israeliani temono per la loro esistenza.

Fidel ha descritto suo incontro da bambino  con l'ignoranza che produce l'antisemitismo: quando il venerdì Santo nelle campagne cubane i cattolici accusavano gli ebrei di deicidio e lui credeva che gli "ebrei" fossero gli uccelli che i cubani chiamano così per il loro grosso becco che somiglia ad un naso: «Questa era l'ignoranza nella quale viveva tutto il popolo». Ora il vecchio ateo Castro dice al pio sciita Ahmadinejad che «Il governo iraniano deve capire le conseguenze dell'antisemitismo teologico. La cosa è andata avanti per forse duemila anni. Io non credo che nessuno sia stato calunniato più degli ebrei, direi molto di più dei musulmani. Sono stati calunniati molto di più dei musulmani  perché sono accusati e calunniati per ogni cosa. Nessuno accusa i musulmani di tutto. Il governo iraniano deve capire che gli ebrei sono stati espulsi dalla loro terra , perseguitati e maltrattati da tutto il mondo, come quelli che hanno ucciso Dio. A mio giudizio questo è quello che è accaduto loro: selezione inversa. Cosa è la selezione inversa? Per oltre 2.000 anni sono stati sottoposti a terribili persecuzioni e ai pogrom. Si sarebbe potuto supporre che sarebbero scomparsi , credo che la loro cultura e religione li abbia tenuti insieme come una nazione. Gli ebrei hanno vissuto un'esistenza che è molto più difficile della nostra. Non c'è nulla di paragonabile alla Shoah». 

Castro ha detto di comprendere i timori iraniani per un'aggressione israelo-americana e ha aggiunto che «Le sanzioni americane e le minacce israeliane non dissuaderanno la leadership iraniana dal perseguire le armi nucleari. Questo problema non verrà risolto, perché gli iraniani non stanno facendo marcia indietro di fronte alle minacce. E' la mia opinione. A differenza di Cuba, l'Iran è un Paese profondamente religioso, i leader religiosi sono meno incline al compromesso. Mas anche la laica Cuba ha resistito a molte richieste americane negli ultimi 50 anni».

Secondo il Comandante in Capo però «La capacità iraniana di infliggere danni non viene valutata. Gli uomini pensano di poter controllare se stessi, ma Obama potrebbe reagire in modo eccessivo ed una graduale escalation potrebbe diventare una guerra nucleare». Sorprendentemente Castro ha ricordato come esempio negativo proprio la crisi dei missili del 1962, quando l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti entrarono quasi in guerra per la presenza di missili nucleari a Cuba e Fidel si pente amaramente di aver allora chiesto con una lettera a Krusciov di lanciare un attacco nucleare contro gli Usa se gli americani avessero attaccato Cuba per liquidare per sempre il pericolo yankee: «Dopo che ho visto quello che ho visto, e sapendo quello che so adesso, niente di tutto quello valeva la pena».

Secondo la Sweig Castro ha voluto mandare questo messaggio ad Ahmadinejad. Perché «Fidel è nella fase iniziale di reinventare se stesso come statista di alto livello, non come capo di Stato, sulla scena nazionale, ma soprattutto sulla scena internazionale , che per lui è sempre stata una priorità. Le questioni della guerra, della pace e della sicurezza internazionali sono un punto centrale: nucleare, cambiamenti climatici, proliferazione, queste sono le grandi questioni per lui, e lui è davvero solo l'inizio, sta utilizzando qualsiasi potenziale piattaforma mediatica per comunicare il suo punto di vista. Ormai ha le mani libere che non si aspettava di avere. E lui rivede la storia, rivisitando la propria storia».

Ma la cosa probabilmente più sorprendente e importante riguarda il futuro di Cuba e Castro l'ha detta a Goldberg come se fosse una cosa da poco. Il Giornalista di The Atlantic gli ha chiesto se credeva che il modello cubano fosse ancora qualcosa degno di esportazione e Fidel ha risposto sornione: «Il modello cubano non dà nemmeno più lavoro per noi». Un'autocritica feroce che spiazzerà molti fan del comunismo in salsa cubana anche in Italia ma la Sweig spiega che «Non stava respingendo le idee della Rivoluzione. L'ho preso come il riconoscimento che nel modello cubano lo Stato ha un ruolo troppo grande nella vita economica del Paese. Uno degli effetti di un  tale convincimento potrebbe essere quello di fare spazio al fratello, Raul , che ora è presidente, per adottare le riforme necessarie a fronte di quello che sarà sicuramente un push-back da parte dei comunisti ortodossi all'interno del partito e della burocrazia. Raul Castro sta già allentando la presa dello Stato sull'economia. Infatti, di recente ha annunciato che le piccole imprese possono ora operare e che gli investitori stranieri potrebbero acquistare immobili cubani. Il comico in questo nuovo annuncio è, naturalmente, che gli americani non sono autorizzati a investire a Cuba, non a causa della politica cubana, ma a causa della politica americana. In altre parole, Cuba sta iniziando ad adottare il tipo di pensiero economico che l'America a lungo le ha chiesto di adottare, ma gli americani non sono ammessi a partecipare a questo esperimento di libero mercato a causa dell'ipocrisia del nostro governo e della stupidamente autodistruttiva politica dell'embargo. Dispiace, ovviamente, quando i cubani con partner europei e brasiliani si comprano tutti i migliori alberghi».

Fidel poi ha portato i due americani a vedere i delfini ed hanno conosciuto il direttore dell'acquario cubano Guillermo Garcia,  che in realtà un fisico nucleare. «L'abbiamo messo qui per impedirgli di costruire bombe atomiche!», ha detto ridendo Castro. Garcia ha risposto: «A Cuba , dovremmo usare l'energia nucleare solo per mezzi pacifici». E a Goldberg che sottolineava: «Non pensavo di essere in Iran», Fidel ha risposto: «E' persiano!». Come dire che Cuba, anche per il nucleare, è un'altra cosa rispetto all'Iran.

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