[09/09/2010] News toscana

Quale federalismo? Quello padano è fasullo

PISA. Il tema del federalismo  più che in altre stagioni politico-istituzionali sembra fare da spartiacque anche sul futuro del governo e della maggioranza. E tuttavia a differenza di altre stagioni tutto si può dire tranne che sia chiaro che cosa ci si aspetta davvero. Finora, infatti, è prevalso anche nelle varie decisioni e dichiarazioni l'aspetto dei costi impugnato ed agitato per dire soprattutto che il Nord è stufo di pagare ritardi e gli sprechi del sud a partire dalla sanità. Che poi queste cifre sui costi restino in larga misura ignote è un altro discorso che la dice lunga  sul carattere di un dibattito in cui prevalgono decisamente gli annunci guerrieri piuttosto che le modalità per dare attuazione a quel nuovo titolo V della Costituzione fermo al palo dal 2001.

Un aspetto del tutto ignorato riguarda il nostro rapporto con l'Europa e la globalizzazione. Interventi recenti del Capo dello stato ma anche di altre autorevoli personalità vanno ormai riproponendo in rapporto soprattutto alla crisi internazionale l'esigenza che l'Europa non torni a privilegiare forme di rinazionalizzazione delle politiche  magari di stampo protezionistico. Ciò è particolarmente evidente sul piano economico-sociale ma non lo è di meno per le politiche ambientali che l'Unione europea ha il merito di avere avviato  e verrebbe da dire anche ‘imposto' a paesi riluttanti come il nostro. Dunque serve un federalismo che sappia immettere le nuove realtà e dimensioni locali, regionali e nazionali in quel nuovo contesto europeo che rischia di appannarsi favorendo se non promuovendo recuperi statali quanto mai inopportuni. Ma un federalismo di questo tipo; cooperativo, solidale, non nostalgico di vecchie e obsolete chiusure locali e nazionali ha bisogno non di una più debole politica ‘statale' ma al contrario di una maggiore presenza nazionale che non va confusa con il ‘centralismo' imperante e di ritorno a cui assistiamo oggi anche nei suoi aspetti più sconcertanti e grotteschi. Le politiche ambientali sotto questo profilo offrono uno spaccato estremamente significativo e persuasivo di questa necessità. Per due precise ragioni. La prima è che ambiente ed economia sono ormai due aspetti di una stessa realtà tra di loro indissolubilmente connessi. La seconda è che le nuove politiche ambientali sia che attengano al paesaggio, al regime dei suoli, alla tutela della natura e della biodiversità, dei fiumi e delle coste, della lotta agli sprechi dell'acqua e così via non sono compatibili -anzi sono chiaramente incompatibili- con la pretesa leghista di dar vita a compartimenti stagni in nome  di un localismo asfittico e assolutamente fasullo come quella padano.

Fiumi, laghi o vette dolomitiche che tornerebbero all'ovile casereccio con una sdemanializzazione che prelude -come ha denunciato con forza e più volte Settis  - ad una svendita e dilapidazione di un prezioso e indivisibile patrimonio e bene nazionale hanno assai poco a che fare con il federalismo.

E qui siamo al punto che finora però non è emerso con la forza e chiarezza che invece sono indispensabili se non vogliamo continuare a girare sui rulli degli sprechi, delle abrogazioni, dei tagli che sono servite soltanto ad allungare l'elenco dei soggetti a rischio; le province, le comunità montane, i piccoli comuni, le aree metropolitane ( che restano lettera morta), i consigli di quartiere, senza contare le differenze tra regioni speciali e ordinarie che spingono ad esempio molti comuni a chiedere di passare armi e bagagli in regioni dove girano più risorse.

Si è insomma lontani mille miglia dal dare risposta finalmente a quel tema riproposto anche recentemente dalla Corte Costituzionale del ‘governo del territorio' di cui parla il titolo V ricordando che si tratta di materia concorrente tra stato e regioni, dove concorrente tutto può voler dire tranne separazione alla Zaia e alla Cota. Ed è qui che casca l'asino del padanismo bossiano. Perché un nuovo assetto istituzionale non può significare come a torto si è ritenuto anche in altre stagioni  semplice ( che poi semplice non è ) ripartizione di competenze tra Roma e  le regioni e poi gli enti locali perché poi ognuno proceda come più gli aggrada.

Ripartizione peraltro già estremamente complicata dal momento che troppi soggetti istituzionali elettivi e non risultano come abbiamo visto sempre più ballerini e dal futuro incerto e precario. Oggi che si tratti del paesaggio, del suolo, della natura e così via le competenze debbono tener conto non soltanto degli intrecci istituzionali ma anche disciplinari. Paesaggio vuol dire anche natura e viceversa e così anche il suolo per cui non si tratta soltanto di provvedere a ripartire tra istituzioni i compiti ma vedere anche come questi  riescono a tenere insieme, ad esempio, paesaggio e natura. Se, infatti, un parco che prima doveva fare un piano ambientale con valenza anche paesaggistica oggi deve provvedere solo alla natura perché al resto pensa magari alla sopraintendenza, tu hai diviso e scisso prima ancora che le competenze istituzionali quella  gestione unitaria di  discipline ingovernabile su binari separati -come dice chiaramente la Convenzione europea del paesaggio-tanto che oggi un parco che doveva fare già due piani dovrà farne addirittura tre. Insomma le competenza dello stato e quella delle regioni per essere gestite unitariamente, senza scissioni  di competenze ma anche di materie multidisciplinari che dovranno essere unitariamente immesse nel circuito comunitario, richiedono una programmazione che oggi manca a livello nazionale e quindi in larga misura anche regionale. Come è pensabile una gestione adeguta del Po o delle coste o delle Alpi e dell'Appennino soltanto sulla base di una ripartizione in cui le competenze sono tagliate come le fette di un cocomero dove ognuno quindi cercherà soltanto di portarne a casa il più possibile contro Roma ladrona. Roma deve invece riuscire a gestire una politica nazionale che non significa certo centralismo in nome del quale il ministero dell'ambiente decide -tanto per fare un esempio d'attualità- l'acquisto delle sedie da parte di un  parco nazionale. Quella non è politica nazionale, lo era quella indicata dalla legge 426 e già prima dalla 394, dalla 183 e quella prevista dalla riforma Bassanini tutte bellamente ignorate nella sostanza da un decennio senza che molti per la verità se ne siano preoccupati e occupati più di tanto.

Con la globalizzazione sono cambiati non soltanto le dimensioni locali ma tutta la scala dei problemi e non soltanto ambientali che non rientrano più -se mai ci sono rientrati- in quei confini amministrativi nazionali, regionali, provinciali e comunali sui quali doveva articolarsi una programmazione restata peraltro in larga misura sulla carta se una legge come quella urbanistica che è del 1942 è rimasta nella sostanza immodificata.

Se ce lo fossimo dimenticati -come purtroppo è avvenuto- disastri recenti e meno recenti sono lì a ricordarci che il ‘governo del territorio' non soltanto cosa seria e irrisolta ma resterà irrisolta se non si prenderà finalmente atto che deve cambiare e profondamente il rapporto tra i vari livelli istituzionali non a danno di qualcuno ma a vantaggio di una politica nazionale-comunitaria che oggi manca che richiede un ruolo più incisivo di tutte le istituzioni e tutti i livelli che a sua volta deve poter contare su sedi e strumenti di incontro e cooperazione e non di un Bertolaso o cricca di turno.

Se oggi un sindaco viene assassinato perché vuol decidere cosa fare per tutelare anche le alici e i gigli marini nel ‘suo' mare e non aprire le porte alla cementificazione selvaggia degli speculatori di turno e rivendica per il suo parco nazionale insieme agli altri sindaci una politica sgradita alla camorra vorrà dire pur qualcosa; e quel qualcosa è una politica dello stato che sappia far sue e sostenere quei sindaci che altrimenti restando soli possono essere assassinati nell'indifferenza ‘statale'.

Chissà se vicende del genere faranno capire anche a chi ciarla su un ambientalismo ideologico o dedito ai fiorellini quanto diversa sia oggi la realtà e quanto siano bislacche certe declamazioni che con il federalismo vero non hanno nulla a che fare.

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