[24/08/2010] News

La schizofrenia della società moderna, vista dalla parte degli oggetti

ROMA. Gli inglesi lo chiamano "compulsive hoarding", sarebbe a dire "accumulo compulsivo", da noi meglio noto come disposofobia o anche "sindrome della soffitta piena": si tratta di un disturbo patologico ossessivo che costringe chi ne è vittima ad accumulare oggetti su oggetti - utili e non - senza riuscire a darsi un freno.

E questo succede a causa di molteplici input: c'è chi accumula in nome del "non si sa mai, potrebbe sempre servire", chi lo fa perché tende a credere al classico "habeo ergo sum" e chi invece, magari, per il timore inconscio di dimenticare quello che è stato.

Infatti c'è chi conserva ricordi su ricordi: gli oggetti del passato, in questo caso, oltre al sacrosanto fattore affettivo e rievocativo forniscono la prova della propria esistenza e quindi un'affermazione d'identità, come se a definirci fossero i nostri averi e non le nostre azioni. Insomma strade diverse che portano, però, ad un risultato che è sempre quello, sarebbe a dire il trionfo del superfluo.

Ma a questo c'è chi sta provando a porre rimedio, lanciando la sfida opposta: riuscire a vivere con appena 100 oggetti. Non uno di più, non uno di meno. Da quando Dave Bruno, nel 2008, ha lanciato su internet (www.guynameddave.com ) la sua sfida, quella cioè di vivere per un anno con meno di 100 cose, sono stati in molti a raccoglierla.

«Sono in molti ormai ad avere la consapevolezza che il guardaroba o il garage pieni di oggetti all'inverosimile non rendono affatto migliore la loro vita», spiega Dave, che nella sua lista ha incluso solo gli oggetti strettamente personali, concedendosi qualche libertà, come quella di cambiare una cosa con un'altra o contare slip e calze in gruppo, come se fossero un solo oggetto.

Un anno dopo aver lanciato la «100 Thing Challenge», Dave, che sta per pubblicare un libro in cui racconta la sua esperienza, è passato a 94 oggetti. iPhone e iPad compresi. Un po' troppo facile per i gusti di Colin Wright, che racconta invece sul suo blog (www.exilelifestyle.com) di come sia riuscito ad arrivare prima a 72 e poi a 51 oggetti e di essere addirittura sceso sotto la soglia dei 50 quando si è trasferito in Nuova Zelanda.

Su un altro blog, Rowdy Kittens (www.rowdykittems.com) offre consigli per iniziare piano piano, donando per esempio dieci oggetti alla settimana a un'associazione caritativa, o rifuggire dalla pubblicità televisiva. Tuttavia il superfluo porta anche ad altre conseguenze, come il boom degli oggetti smarriti, ulteriore sintomo della società usa e getta. Centinaia di articoli finiscono archiviati ogni giorno in depositi, si accumulano negli uffici appositi, che diventano musei della distrazione, luoghi dove vengono custoditi scampoli d´identità.

Ogni giorno lasciamo in giro nostre tracce, disseminiamo come indizi qualcosa che ci appartiene e per mancanza di fiducia nel prossimo o nella pubblica amministrazione non andiamo a cercare ciò che abbiamo dimenticato. Il numero degli oggetti smarriti è destinato ad aumentare, dicono alcuni studiosi, perché con l´invecchiamento della popolazione, crescono le "amnesie". È una distrazione diffusa, inarrestabile e planetaria. Secondo "the Indipendent", ogni settimana vengono perduti 300 cellulari a Disneyland, 9 mila ogni anno a Washington.

Per non parlare dei bagagli, 10 mila al giorno smarriti negli Stati Uniti. «Nei nostri uffici finiscono circa 12 mila oggetti ogni anno, ne restituiamo intorno ai 4 mila», spiegano all´Ufficio oggetti smarriti di Genova in un'intervista a "la Repubblica".

«C´è una moltiplicazione degli oggetti e questo porta ad una disaffezione generale», spiega il sociologo Vanni Codeluppi sullo stesso quotidiano «Il consumatore non si può legare a ciò che possiede perché poi non sarebbe disponibile ad acquistare nuovi prodotti, infatti nelle aziende si parla di fedeltà, di come legare il cliente». E il fatto che molti degli oggetti smarriti hanno a che fare con la propria identità? «Anche l´identità oggi è qualcosa di effimero».

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