[18/08/2009] News

Meno pioggia e meno neve, il cambiamento climatico minaccia la fragile stabilità del Libano

LIVORNO. Se nel corso dei prossimi 100 anni le temperature medie aumenteranno tra i 2 e i 4 gradi, come prevedono la maggior parte dei modelli del cambiamento climatico, il piccolo e affollato Libano dovrà confrontarsi con una situazione climatica, ambientale e sociale ancora più critica dell'attuale.

Secondo Wael Hmaidan, direttore esecutivo dell'associazione libanese IndyACT (la Lega degli attivisti indipendenti), «il Libano sarà il primo Paese del Medio Oriente ad essere colpito dal cambiamento climatico. La ripartizione delle piogge è cambiata, la densità della neve decresce e gli incendi boschivi si moltiplicano».

Fino ad oggi il Libano è invidiato dai Paesi vicini aridi e con poca acqua come l'Iraq o la Giordania: le precipitazioni annue medie superano gli 800 milioni di m3 ed anche durante la stagione secca, che in questa parte del Mediterraneo dura 7 mesi, restano attive oltre 2.000 sorgenti d'acqua.

Ma secondo quanto dice al'Irin, l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, Bassem Jaber, un esperto del ministero libanese dell'energia e dell'acqua che si occupa del "Projet de mise en place des outils techniques de gestion de l'eau" (Motge), la situazione sta rapidamente cambiando: «20 anni fa in Libano contavamo su 80 - 90 giorni di pioggia all'anno. Oggi prevediamo 70 giorni di pioggia. Cade la stessa quantità di acqua, ma in un tempo più breve, il che impedisce l'infiltrazione nel suolo. L'acqua scorre in superficie e si getta in mare, senza essere stata sfruttata. Sul suo cammino provoca l'erosione del suolo, delle frane del terreno e delle inondazioni repentine. A lungo termine, questi fenomeni porteranno alla desertificazione».

Secondo Hmaidan, «Questi cambiamenti meteorologici potrebbero condurre il Paese al disastro. Le sole risorse naturali del Libano sono il clima gradevole, le sue foreste e la sua acqua. L'economia del Paese si basa sul turismo, che dipende da queste risorse. Se spariscono, é la fine dell'economia libanese».

In effetti le previsioni degli esperti non sono preoccupanti ed il libano si troverà ad affrontare un pericolo molto più pericoloso dell'estremismo sciita di Hezbollah ed un nemico esterno più dannoso delle incursioni militari israeliane o dei carri armati siriani sempre pronti ad entrare nel Paese. Il cambiamento climatico dovrebbe far diminuire anche la caduta di neve sulle montagne libanesi che fornisce il 35% dell'acqua del Paese, soprattutto tra aprile e luglio, quando le piogge sono praticamente assenti e corsi d'acqua e sorgenti sono alimentati solo dallo scioglimento della neve ad alte quote.

Secondo gli studi condotti dal direttore del Centre régional de l'eau et de l'environnement du Liban (Esib), Wajdi Najem, «La quantità d'acqua proveniente dallo scioglimento della neve, che è attualmente di un miliardo e 200 milioni di m3, precipiterà a 700 milioni di m3 se le temperature aumenteranno di 2 gradi, e a 350 milioni di m3 se aumenteranno di 4 gradi. Il limite delle nevi eterne, che oggi è a 1.500 metri, passerà a 1.700 metri se le temperature aumenteranno di 2 gradi, e a 1.900 metri se aumenteranno di 4 gradi. In queste condizioni, entro la fine del secolo, la stagione sciistica, così lucrativa per il Paese, durerà non più 3 mesi, ma solo una settimana».

Il cambiamento climatico cambierà paesaggi ed habitat, ad iniziare dalla specie simbolo che appare anche sulla bandiera nazionale, il cedro del Libano: la neve è essenziale per la sopravvivenza di questi grandi e vecchissimi alberi che sono già inclusi nella lista Rossa dell'Iucn.

Con meno acqua a disposizione la stagione secca anticiperebbe di un mese, con gravi rischi per l'agricoltura, in particolare nel sud sciita controllato da Hezbollah e nel fertile est del Paese. Ma secondo gli specialisti il vero rischio di una nuove a esplosione del Libano viene dalle zone urbane, dove il cambiamento climatico potrebbe esacerbare gli scontri tra sciiti, sunniti, cristiani maroniti, drusi e profughi palestinesi. Su una popolazione di circa 4 milioni di abitanti (tra i quali almeno 400 mila profughi palestinesi che vivono nei campi in situazioni spesso già disumane) oltre l'80% della popolazione libanese vive in città, un milione e mezzo nella sola Beirut (nella foto). La prova del fuoco dovrebbe arrivare presto, visto che gli esperti prevedono una crisi idrica già durante i prossimo i 5 anni.

Lo spiega bene Jaber all'Irin: «Non sono le regioni agricole che subiranno le conseguenze più gravi, la stagione agricola comincerà più presto, ma noi siamo al contrario molto inquieti per i centri urbani. Il problema è che le zone urbane avranno esaurito le loro risorse d'acqua dolce prima della fine della stagione secca».

Ad aggravare la situazione è ancora una volta il fattore umano. Ogni anno la metà delle acque piovane viene perduta per ruscellamento, evaporazione o infiltrazione a causa del pessimo stato di condotte, canalizzazioni ed irrigazione, mai restaurate dopo la lunga guerra civile e il conflitto contro gli israeliani del 2006. Attualmente il governo libanese è costretto a razionare l'acqua alla fine dell'estate ed in autunno e già oggi in alcune regioni la metà della popolazione vive in una cronica mancanza d'acqua: in media meno di 50 litri al giorno per famiglia, 20 litri in meno della quantità d'acqua che l'Organizzazione mondiale della sanità definisce come la soglia di mancanza d'acqua.

La soluzione appare controversa: per captare fino a 900 milioni di m3 di acqua dolce, il governo di Beirut prevede di costruire fino a 28 dighe e grandi depositi sotterranei. Oggi il Libano dispone solo di due dighe. Il piano idrico dovrebbe costare tra i 2,5 ed i 3 miliardi di dollari e gli ambientalisti e le associazioni umanitarie libanesi lo criticano perché lo considerano nefasto per l'ambiente e perché troppo caro.

Secondo Fadi Comair, direttore generale per le risorse idrauliche ed elettriche del ministero dell'energia e dell'acqua «E' probabile che le dighe siano la sola risposta possibile al problema del cambiamento climatico in Libano. Data la situazione, non è una questione di denaro, non abbiamo scelta».

Non la pensa così IndyACT, che sta lavorando ad un piano alternative basato su un migliore utilizzo delle risorse disponibili che, come si è visto, vanno in gran parte disperse o sprecate.

Torna all'archivio