[10/08/2010] News

Istat: poco più dell'1% delle tasse ambientali è finalizzato a politiche della sostenibilità

LIVORNO. Il gettito totale delle imposte di carattere ambientali è quasi raddoppiato in poco meno di vent'anni, passando dai 22 miliardi di euro in prezzi correnti del 1990 ai 39,5 miliardi del 2008 (ultimi dati disponibili), anche se in realtà proprio il 2008 ha segnato un'inversione di tendenza (a causa della crisi globale che cominciava a far sentire i suoi effetti)  rispetto al trend di crescita costante che già a partire dal 2003 vedeva superare la soglia dei 40 miliardi.

La serie storica per il periodo 1990-2008 del gettito delle imposte ambientali in Italia è calcolato e diffuso dall'Istat e la definizione adottata per le imposte ambientali è mutuata dalle linee guida della statistica ufficiale a livello internazionale: una imposta è ambientale se la sua base impositiva è "costituita da una grandezza fisica (eventualmente sostituita da una proxy) che ha un impatto negativo provato e specifico sull'ambiente".

Il gettito delle imposte ambientali è classificato per categoria, per settore ambientale cui è correlata la base impositiva, e secondo la destinazione o meno del gettito al finanziamento della spesa per la protezione dell'ambiente.  Ed è proprio quest'ultimo aspetta che appare forse il più interessante. Per esempio nel 2008 a fronte dei 39,5 miliardi incassati da imposte ambientali, appena 470 milioni sono stati «  destinati al finanziamento di spese per la protezione dell'ambiente», ovvero meno dell'1,25%.

Altri dati interessanti riguardano le macroaree di provenienza del gettito, dove a farla da padrone è ovviamente il settore energetico, che nel 2008 ha versato il 75,62% del totale delle imposte ambientali (ma nel 1990 era l'86%), seguito dai trasporti 23% e da" Inquinamento e risorse" con 1,32%, una categoria in qui è compreso il tributo speciale discarica (introdotto nel 1996), la tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di zolfo, il tributo provinciale per la tutela ambientale e il contributo sui prodotti fitosanitari e pesticidi pericolosi introdotti a partire dal 1993.  Le imposte sull'inquinamento includono dunque le imposte sulle emissioni atmosferiche o sui reflui (i dati di riferimento possono essere rilevati o stimati), sulla gestione dei rifiuti e sul rumore. La categoria risorse include gli strumenti che gravano sul prelievo di risorse naturali.

Le imposte sull'energia invece includono tutte le imposte sui prodotti energetici utilizzati sia per finalità di trasporto (si tratta soprattutto di benzina e gasolio) sia per usi stazionari (si tratta soprattutto di oli combustibili, gas naturale, carbone ed elettricità). Sono comprese inoltre le imposte sulla anidride carbonica (CO2) le quali, spesso introdotte in sostituzione di imposte sull'energia, non vengono dunque incluse tra le imposte sull'inquinamento.

Tra le imposte sui trasporti rientrano principalmente le imposte legate alla proprietà e all'utilizzo di veicoli.

Sono comprese inoltre le imposte relative ad altri mezzi di trasporto (ad esempio aerei) e a servizi di trasporto purché coerenti con la definizione generale di imposte ambientali.

Il lavoro dell'Istat confronta le imposte ambientali italiane con i dati Eurostat dell'Ue,  e i valori della Penisola sono più o meno in media, a parte il dato della macroarea ‘energia' che è poco più alto della media Ue. Ma mancano proprio le stime relative alla quantità del gettito che in Europa viene reinvestito in politiche di sviluppo sostenibile (prendiamo come una leggerezza la definizione di "spese per la protezione dell'ambiente" che in realtà è solo una gamba della sostenibilità).

Del resto è lo stesso Istat che nelle note metodologiche evidenzia che «mentre la base della imposta riveste un ruolo fondamentale nella definizione delle imposte ambientali adottata a livello internazionale, non viene invece considerato rilevante l'obiettivo della imposta stessa per come risulta espresso dal legislatore. Le imposte ambientali includono pertanto sia strumenti introdotti con esplicite finalità di tipo ambientale sia strumenti in cui non si ravvisa tale finalità nella formulazione normativa».

Anche perché finché la contabilità ambientale (sulla quale non mancano gli studi dell'Istat), non sarà adottata, difficilmente si riuscirà a dare il giusto valore a risorse e beni comuni.

In particolare l'Istat ricorda che le imposte sui prodotti energetici e sui trasporti sono state introdotte senza esplicite finalità di tipo ambientale; fa eccezione solo l'imposta sui consumi di carbone (introdotta nel 1999) per la quale la legislazione prevede l'utilizzo del gettito anche per il finanziamento di spese per la protezione dell'ambiente.

«Nei casi restanti - prosegue la nota dei ricercatori dell'Istat - si possono ravvisare esplicite finalità ambientali, che possono essere ricondotte in alcuni casi a fornire un incentivo per gli operatori economici (consumatori e produttori) ad adottare un comportamento maggiormente in linea con la salvaguardia dell'ambiente, in altri a raccogliere gettito per il finanziamento delle spese per la protezione ambientale».

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