[02/08/2010] News

Governo in crisi, Paese in crisi e la manovra? Non aiuta

GROSSETO. «Un provvedimento presentato come quasi interamente di riduzioni alle spese è composto in realtà al 40 per cento di maggiori entrate, che molti tagli sono di carta, di dubbia praticabilità. Serve più che altro a dare un segnale ai mercati. Non è detto che sia credibile perché rinvia ai posteri gli aggiustamenti strutturali di spesa ed entrate. Ben poco rimarrà in vigore dopo il 2012. E chi paga davvero sono, una volta di più, i giovani».

Era stato durissimo il commento alla manovra finanziaria fatto da Tito Boeri su la voce .info non appena era stato reso disponibile il testo e rimane tale il giudizio adesso che la manovra è stata approvata in parlamento e il testo di recepimento andrà quindi in Gazzetta Ufficiale. Anzi scrive Boeri che non si capisce come nonostante le modifiche introdotte dalla Commissione Bilancio di Palazzo Madama che comportano minori risparmi rispetto a quelli inizialmente introdotti non siano stati fatti aggiustamenti per compensarli e quindi la tabella riassuntiva sugli effetti della manovra con il saldo finale sia potuta rimanere esattamente identica all'originale.

Pochi i tagli che si concentrano soprattutto in manovre di cassa con rinvii di spesa, riduzioni a erogazioni e ai trasferimenti agli enti locali che si troveranno a dover sostenere il vero peso della manovra e che dovranno a loro volta ripartire le minori risorse tagliando sui servizi e/o aumentando le imposte.

«In sintesi- scriveva ancora Boeri - si tratta di una manovra visibilmente improvvisata, che bada a esibire grandi numeri per offrire un quadro macro rassicurante. Le "lacrime e sangue" sono per pochi, i soliti. Chi paga davvero sono i giovani, colpiti dal taglio dei contratti a tempo determinato e dal blocco delle assunzioni e delle carriere nel pubblico impiego (che penalizza soprattutto chi è entrato con salari molti bassi contando sugli scatti di anzianità) oltre che dall'ennesimo rinvio della riforma degli ammortizzatori sociali. Non una, ma due mani, vengono messe nella tasche dei giovani».

Criticata - ma non a sufficienza evidentemente - da tutte le categorie la manovra è passata quindi blindata dal parlamento e lascia dietro di sé una serie di provvedimenti anche difficilmente interpretabili oltre ad essere difficilmente comprensibili in una logica di rigore da una parte e di rilancio di una economia in crisi dall'altra.

Come la Scia ad esempio, che nata per ovviare ai cavilli burocratici che le imprese si trovano a dover ottemperare per avviare una attività, sembra alla fin fine che possa agevolare solo un comparto delle imprese, ovvero quello edile. Con buona pace della volontà di cambiare addirittura la costituzione per mettere al primo posto l'interesse dell'imprese a spese del bene pubblico. E per fortuna grazie ad una forte mobilitazione delle associazioni ambientaliste e all'impegno dell'opposizione nella versione definitiva sono state escluse aree soggette a vincolo paesaggistico  e ambientali.

Sono stati dimezzati i fondi per i 24 parchi nazionali, quando poi nella manovra non c'è invece alcun taglio alle grandi opere francamente non urgenti, come il ponte sullo Stretto di Messina per fare un esempio,  per recuperare almeno una parte di quei 24 miliardi ritenuti assolutamente necessari per rispettare i parametri di stabilità.

Ma sempre nell'ottica di togliere lacci e laccioli all'attività imprenditoriale si introduce una eccessiva semplificazione nella conferenza dei servizi in cui a fianco della corretta previsione che in caso di opera o attività soggetta ad autorizzazione paesaggistica il Soprintendente si esprima in via definitiva nell'ambito della conferenza di servizi per tutti i provvedimenti di sua competenza, si estende il silenzio assenso anche alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o della tutela della salute e dell'incolumità pubblica.

Tra i tagli si introduce una misura, quella prevista all'art. 45 che nella versione finale ripristina l'obbligo di ritiro dei certificati verdi da parte del Gse, ma riducendo la spesa annuale per questo acquisto al 30% e facendo sì che «almeno l'80% di tale riduzione derivi dal contenimento della quantità di certificati verdi in eccesso».  Come non si specifica. Lo stesso articolo prevede anche che le risorse risparmiate grazie alle risoluzioni anticipate delle convenzioni Cip6 (previste in altra norma) ma ridotte di una parte da quantificarsi calcolando  «la differenza tra gli oneri che si realizzerebbero nel caso in cui non si risolvano le convenzioni e quelli da liquidare ai produttori aderenti alla risoluzione» vengono destinate a un fondo a disposizione del ministero dell'istruzione per «interventi nel settore della ricerca e dell'università» senza alcun richiamo -quantomeno- alle fonti energetiche rinnovabili.

Tante sono quindi le norme che avranno impatti molto negativi sulle politiche ambientali, con una totale assenza di misure verso la  green  economy  come  frontiera  di innovazione tecnologica e di competitività economica.

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