[28/07/2010] News

Fiat non il "come" e il "dove", ma piuttosto "cosa" e con quale obiettivo produrre

LIVORNO. Non il "come" e il "dove", ma piuttosto "cosa" e con quale obiettivo produrre. Dovrebbe essere questa la nuova frontiera di una Fiat moderna e competitiva. I vertici della fabbrica, invece, con la proposta-capestro di delocalizzare una parte della produzione in Serbia, sono impegnati a fare altro: ridefinire i rapporti industriali e mettere all'angolo il sindacato (o almeno una sua parte minoritaria).

Le logiche dell'azienda sono evidenti: i conti devono quadrare, le regole sono dettate dal libero mercato, e a causa dello strapotere cinese, la prima necessità è diventata la rimodulazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, se non addirittura la sua cancellazione come potrebbe avvenire con la "newco" targata Marchionne varata in questi giorni.

Una manovra che ha scatenato dure critiche e una forte opposizione, anche in seno a Confindustria, ai progetti del manager italocanadese. E da Pomigliano in poi, il dibattito, si è indirizzato solo sulle misure di casa Mirafiori. Una polemica sacrosanta, così come lo sono i diritti degli operai, che rischia di portare a una impasse.

Perché in una visione il più possibile completa dell'economia al tempo di una globalizzazione che crea posti di lavori in Serbia e li toglie a Torino, non possiamo non tener conto del "cosa" si andrà a produrre. Solo così, Fiat, e i Governi, possono continuare a garantire lavoro, nel nostro Paese, sviluppo, nelle fabbriche, e rispetto dell'ambiente, per tutti.

Lo ha ben spiegato oggi sul Sole 24 ore Guido Viale. La riconversione non è un'utopia, un eldorado irraggiungibile. "Processi produttivi e modelli di consumo ispirati a una maggiore sobrietà e a una minore aggressione alle risorse del pianeta, cioè dimensioni territoriale più circoscritte che consentano un maggior controllo sulla filiera; fonti energetiche rinnovabili e efficienza energetica; disimpegno graduale della fabbrica dal settore auto per convogliare risorse e impianti verso progetti di cogenerazione. Qualcuno, non lontano da noi sta cercando di farlo: la Volkswagen ha copiato un progetto della casa automobilistica italiana di 40 anni fa".

Bene, un discorso condivisibile. Quello che Viale non dice però è in che modo realizzare il cambio di rotta. Un aspetto non irrilevante visto che è su questo livello che si giocano le scelte in grado di portare a un passo avanti rispetto al dibatto di queste ore. In particolare, sarebbe opportuno evidenziare il luogo per discutere del nuovo sistema, e stabilire le modalità per generare una svolta.

A livello nazionale, dovrebbe essere il Governo e il ministero dello Sviluppo economico a far da guida attraverso incentivi e una politica industriale chiara. Un obiettivo che si scontra con una triste realtà: i legislatori sono occupati in altre "faccende", il ministero dell'Ambiente non ha un direttore da alcuni mesi, e il ministero dello Sviluppo economico è ormai materia per una tragicommedia in stile "aspettando Godot".

A livello sovranazionale e internazionale non va meglio. Le istituzioni deputate a elaborare a una proposta che includa rispetto dell'ambiente, pari diritti e dignità per tutti i lavoratori, un nuovo processo produttivo, non solo non governano, ma sembrano sempre più dipendenti dalle grandi economie e dalle potenti multinazionali.

Certo, chi rischia il posto di lavoro, nelle stesse ore in cui noi scriviamo, non troverà giovamento in queste parole. La prospettiva di restare senza stipendio è un'emergenza, e le idee a largo respiro non confortano. Ma visto che di risposte preconfezionate non ce ne sono, e quelle di Marchionne non possono essere prese in considerazione, la via d'uscita è una sola: per salvare l'Italia e le sue fabbriche, dalla Fiat alle ceramiche di Sassuolo, dal tessile pratese alla manifattura del Nord-est, non rimane che avviare un confronto serio finalizzato alla costruzione di una rivoluzione verde.

Un percorso che deve avere come priorità il metodo per sostenere lo sviluppo, il "cosa"
produrre e i soggetti che devono governare il cambiamento. L'economia ecologica nasce proprio da qui, qualche esempio da seguire non manca.

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