[27/07/2010] News

Chi crede di pił nella green economy

ROMA. Trasformiamo la crisi in un'opportunità. Diamo al "pacchetto di stimolo" che ciascun paese adotterà contro la recessione una direzione precisa e investiamo almeno l'1% del Prodotto interno lordo nell'economia verde: per cambiare il paradigma energetico e transitare velocemente dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili e "carbon free"; per salvaguardare i capitali della natura; per creare nuove tecnologie a minor impatto ambientale e creare nuove occasioni, più sostenibili, di lavoro.

L'idea del Global green new deal era stata lanciata, più o meno un anno fa, dall'Unep, il Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite. Ed era stata sostanzialmente accettata dal G20, il gruppo di coordinamento delle 20 economie mature o emergenti che rappresenta i due terzi della popolazione mondiale, il 75% delle emissioni di carbonio e il 90% della produzione mondiale di ricchezza.

Com'è andata? Non male, stando alle cifre pubblicate in diversi articoli e in un libro, A Global green new deal: rethinking the economic recovery appena uscito per la Cambridge university press, da Edward Barbier, docente di Economia alla University of Wyoming di Laramie, negli Stati Uniti.

Tra il 2008 e il 2009 il mondo intero ha speso circa 3.300 miliardi di dollari nei vari "pacchetti di stimolo" per l'economia. Gli investimenti dedicati alla "green economy" sono stati pari a 522 miliardi di dollari: una cifra pari al 15,8% del totale dei "pacchetti", ma inferiore all'1% del Pil mondiale. In particolare i paesi del G20 hanno investito nell'economia verde lo 0,7% del loro Prodotto interno lordo. Meno dell'obiettivo indicato dall'Unep. Ma non troppo.

Tuttavia molte sono state le differenze tra i diversi paesi. A investire di più in termini assoluti è stata la Cina, con 218 miliardi di dollari. Una cifra pari al 33,1% del suo "pacchetto di stimolo" e pari al 3,1% del proprio Pil. La Cina è andata ben oltre l'obiettivo indicato dall'Unep.

Al secondo posto in termini assoluti seguono gli Stati Uniti, con 118 miliardi di dollari di investimenti "verdi": una cifra pari al 12,0% del proprio "pacchetto di stimolo" e allo 0,9% del proprio Pil. Gli usa sono andati vicini all'obiettivo Unep.

La vera sorpresa, tuttavia, è la Corea del Sud. Che ha investito ben 60 miliardi di dollari nel suo Green new deal: una cifra pari al 79% del proprio "pacchetto di stimolo" e al 5% del proprio Pil. La Corea ha investito quasi tutto nell'economia verde. Il Giappone è quarto, con 43,3 miliardi di investimenti, pari all'1,0% del suo Pil.

La massima potenza economica al mondo, l'Unione Europea con i suoi 27 stati membri, ha investito solo 23 miliardi di dollari nella "green economy". Una cifra pari al 59% del suo "pacchetto di stimolo", ma pari ad appena lo 0,2% del suo Pil.
Cosa ci dicono queste cifre? Che una parte importante del mondo ha creduto - a torto o a ragione - che i vincoli ambientali possono creare ricchezza in maniera più sostenibile e possono creare anche lavoro (in Cina le sole energie rinnovabili con 17 miliardi di investimenti hanno creato più di un milione di posti di lavoro). Che a crederci di più sono i paesi asiatici. Che anche economie mature (come quella di Usa e Giappone), sia pure in maniera più contenuta, "credono" nell'economia verde.
Mentre l'Europa sconta una capacità di reazione alla crisi più timida. Che ha reso minimo il "pacchetto di stimolo" e, quindi, tutte le sue componenti. Resta il fatto, tuttavia, che in termini assoluti gli investimenti europei in "green economy" sono stati inferiori a quelli del resto del mondo. E che questo comporta un peggioramento della capacità di competere in un settore che le autorità politiche ed economiche del mondo considerano strategico.

Già oggi la Cina è il massimo produttore al mondo di celle solari, di turbine per l'eolico, di lampade salva-energia, di scaldaacqua solari e si appresta a diventare il maggior produttore di auto ad alta efficienza energetica.

Edward Barbier sottolinea che non bastano i soldi dei "pacchetti di stimolo" per trasformare l'economia in un'economia sostenibile. Che occorre una stabilità di investimenti e, probabilmente, un diverso modello di sviluppo. Tuttavia quello che è successo in questi due anni rappresenta un forte segnale. Le economie emergenti più dinamiche (Cina, Corea) stanno compiendo un "salto di rana" così potente in termini di efficienza produttiva e di capacità di innovazione da insidiare le più lente economie occidentali.

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