[13/08/2009] News toscana

Multiplex, cinema, sostenibilità e orientamento del sistema produttivo

FIRENZE. La lettera che ieri il presidente dell'Anec Firenze ha inviato ai media toscani non va considerata solo parte della nota vicenda del Multiplex nel nuovo rione di san Donato (zona di Novoli - Firenze), ma investe la globale questione del governo e della governance delle nostre città, con particolare focus sull'urbanistica, sulla mobilità, e in generale sulle strategie per uno sviluppo che abbia il crisma della sostenibilità.

Partiamo dai fatti: nel nuovo centro urbano di san Donato, in adiacenza cioè della nuova edificazione che si sta svolgendo a Firenze nell'area ex-Fiat, era prevista fino a poco tempo fa l'apertura dell'ennesimo cinema multisala. "Ennesimo" perchè tra Firenze e il suo hinterland gli aggregati con 5 o più sale sono ormai 5, per un totale di 42 sale, tutte nate negli ultimi 10 anni.

La costruzione del multisala, con annesso centro commerciale (più case e uffici, per un totale di 8 Ha), è stata (novembre 2008) ed è attualmente bloccata dalla magistratura, in conseguenza di una presunta discordanza tra le volumetrie assegnate e quelle che stavano venendo messe in opera nel cantiere. Nel frattempo si sono succeduti vari eventi significativi: la fine del mandato della scorsa amministrazione (non prima di aver bocciato, in uno degli ultimi consigli comunali, la variante urbanistica richiesta per sbloccare i lavori), l'insediamento della nuova giunta, e la proposta di abrogazione (6 luglio), da parte della Giunta regionale, della vigente legge toscana sulle multisale, le cui competenze urbanistiche dovrebbero passare dalla Regione ai comuni: quest'ultima decisione è stata fortemente criticata da Legambiente Toscana e dalle opposizioni di sinistra in c.c. (liste Spini e Altracittà), che vi hanno intravisto sia una liberalizzazione di fatto delle multisale, sia anche un modo per riaprire la strada del Multiplex di Novoli e hanno proposto di dare ai comuni le competenze per i soli cinema fino a due sale.

In parallelo, com'è ovvio anche se ciò non è dato solo dalle diffusione delle multisala ma investe considerazioni generali legate (oltre che alla diffusione delle nuove tecnologie per l'home-entertainment, naturalmente) al percorso sociale e culturale non solo di Firenze - e nemmeno solo della Toscana - ma di tutta la società globalizzata, è proseguito il triste percorso di chiusura dei cinema monosala, sempre più soccombenti davanti a realtà ricettive, come le multisala, enormemente più competitive economicamente, soprattutto nell'attuale contesto e con i vigenti paradigmi sociali ed economici.

E, infine, la descrizione delle pedine sulla scacchiera deve passare anche per i fatti del 27 luglio scorso, allorché il vicesindaco del capoluogo con delega alle attività produttive, Dario Nardella, ha espresso a "Repubblica" l'intenzione di incontrare i costruttori, sostenendo di ritenere da sempre il Multiplex «una scelta sbagliata» ma di dover «fare i conti con la situazione di fatto che si è venuta concretamente a creare»: i costruttori, pur di sbloccare il progetto, si sono detti disposti a ridurre le sale da 9 a 5, e vedremo ora come proseguirà la vicenda.

E veniamo all'oggi: il presidente dell'Anec Firenze e vicepresidente di Anec Toscana, Maurizio Paoli (che riguardo al Multiplex già aveva sostenuto il 27 luglio che «anche aprire un solo schermo lì significherebbe mettere in ginocchio i cinema esistenti»), ha espresso ai media regionali la sua preoccupazione per la sorte degli ex-cinema Italia e Arlecchino. Si tratta di due realtà a luci rosse, ormai chiuse, situate nel pieno centro di Firenze, dove a causa dell'assenza di vincoli di destinazione (non previsti per i cinema pornografici) è aperta la strada per la messa in opera, almeno per quanto attiene al cinema Arlecchino, di una struttura per la media distribuzione, cioè di un piccolo supermercato. Paoli parla del rischio di «una lunga serie di nuovi casi Arlecchino ed Italia in tutta la città», sulla falsariga del percorso di chiusura che ha già colpito varie sale cittadine, trasformate in centri commerciali, in abitazioni o, nel migliore dei casi, in una libreria.

Ora, al di là della natura a luci rosse dell'Arlecchino (fattore di indesiderabilità per varie fasce della popolazione), è piuttosto ovvio come la chiusura di un cinema senza la contestuale apertura di uno nuovo sia una perdita netta per la popolazione di un quartiere e di una città. E' anzi, la diffusa crisi del cinema, uno degli elementi di maggiore disgregazione sia della cultura e della coesione sociale di un luogo, sia della vivibilità dei centri storici (con conseguenze anche sulla tanto sbandierata "sicurezza"), sia del generale rapporto dei cittadini con la zona e la città dove vivono. E, se il ruolo delle multisale in questa crisi è tra i fattori più influenti, va considerato anche un contributo significativo è dato anche da una carente azione di governo delle attività produttive: e in questo senso è da sostenere lo strumento del vincolo di destinazione, spesso usato con troppa timidezza dalle amministrazioni locali.

Certo, come dice giustamente Paoli, esiste con esso il rischio di creare una ulteriore «serie di contenitori vuoti ed ingombranti» per le sale comunque costrette alla chiusura, ma è proprio questo il punto: non serve la singola azione di vincolo, serve secondo noi (come anche chiedono sia Paoli sia Confesercenti in un comunicato) il superamento di una strategia puntiforme e a-sistematica per la tutela di attività che, oltre che elementi culturali, costituiscono anche fulcri tra i principali della sostenibilità sociale dello sviluppo. Una strategia che va affrontata alla luce della gestione della mobilità privata e pubblica (anche per i parcheggi) e della generale pianificazione dell'apparato produttivo di una città: la sua assenza/carenza, appare ovvio, non potrà che condurre alla progressiva scomparsa di ogni cinema a proprietà privata, che porterà con sé anche la chiusura delle sale pubbliche, sempre meno competitive davanti all'attrattività delle multisala.

Certo, il discorso è complesso, e gli aspetti economici sono pesanti, perchè spesso l'unico modo per mantenere aperto un cinema privato è comprarlo con soldi pubblici, e in generale la mano del Pubblico deve essere appoggiata sulla spalla e non stretta sul collo del privato, pena lo scoraggiamento dell'iniziativa economica. Ma se da una parte c'è un presidio culturale e sociale, svantaggiato in termini di attrattività economica ma fondamentale per il suo contenuto di informazione, per mantenere viva una realtà sociale e per bilanciare la dislocazione delle attività produttive, e dall'altra parte c'è un Moloch insuperabile in termini di attrattività, con contenuto di informazione nullo e pienamente in grado di camminare sulle proprie gambe... ecco, in una diatriba del genere, il Pubblico deve forse lasciare che le cose facciano il loro corso?

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