[13/08/2009] News

Troppo piccole le case o troppi prodotti 3x2?

LIVORNO. Secondo un'indagine condotta dalla commissione Ue per l'architettura e l'ambiente, gli inglesi sono i cittadini europei che soffrono maggiormente per la dimensione delle loro case, soprattutto quelle costruite di recente. In base ai 12mila questionari inviati alle famiglie londinesi che risiedono in abitazioni costruite tra il 2003 e il 2006, il 72% degli intervistati non ritiene di avere per esempio abbastanza spazio per sistemare i 3 piccoli bidoni per la raccolta differenziata porta a porta, (giustificazione e/o scusa?), il 37% sostiene di non poter accogliere gli ospiti degnamente; il 57% non avrebbe posto per conservare gli oggetti personali, il 47% per sistemare i mobili, e infine il 35% delle cucine non consentirebbe, secondo la percezione degli intervistati, di aggiungere un tostapane o un forno a microonde.

Case troppo piccole quindi, secondo i nuovi residenti inglesi. E' dunque una percezione. Se si va infatti a vedere qual è la grandezza media degli appartamenti fatti oggetto del sondaggio scopriamo che essa è di 76 metri quadri.  Una metratura niente male quindi, in cui in teoria possono vivere adeguatamente diverse persone. Senza andare a pescare casi estremi (le nostre città sono piene di miniappartamenti dove vivono famiglie numerose in poche decine di metri quadri), possiamo allora evidenziare due facce dello stesso problema. Da una parte è innegabile che il mercato edilizio negli ultimi anni in occidente si sia indirizzato sempre di più verso mini appartamenti, mono e bilocali, costruiti ex novo oppure derivati da frazionamenti (con una buona percentuale di seconde case fra l'altro) sulla falsariga (falsa, per l'appunto), che la crescita inseguita a tutti i costi (sigh!) possa essere alimentata dalla rendita più che dal reddito. Dall'altra è evidente che un appartamento di 76 metri quadri, come nel caso inglese (ovviamente stiamo parlando di medie) non può rientrare nella casistica dei nomo e bilocali.

E' quindi probabile che se il 57% degli inglesi ritiene di non aver spazio a sufficienza dove riporre i propri oggetti personali, il problema non stia nel contenitore, ma nel contenuto: il consumismo sfrenato che ha attraversato la fine del secolo scorso e l'inizio di quello attuale non è certo una scoperta di oggi. L'homo consumers che ha il suo emblema nel cittadino medio americano  dei primi anni duemila e che oggi annaspa tra crisi reali e farneticanti appelli governativi (vedi Berlusconi) a perpetuare un modello insostenibile per se stesso e per il pianeta è proprio quello che anche in casa propria non riesce più a stivare gli oggetti che compra, tutti bisogni/desideri che i sofisticati ingranaggi del marketing hanno reso non più superflui ma realmente necessari a sopravvivere oltre la soglia di povertà, povertà oggi (fra)intesa come l'incapacità di permettersi gli stessi acquisti che può permettersi la media dei cittadini di un determinato paese.

In questo senso va quindi letta con interesse l'iniziativa che arriva sempre dal Regno Unito, dove il governo sta studiando insieme alla grande distribuzione la possibilità di mettere al bando il bogof, sigla che sta per Buy one get one free, letteralmente ‘ne compri uno e ne hai un altro in omaggio' (quello che in Italia invece, per non essere da meno, è diventato il tradizionale 3x2). L'obiettivo è molteplice: ridurre i costi energetici e le emissioni di co2 necessari  per smaltire o quando è possibile riciclare (sempre che poi i prodotti rigenerati abbiano un mercato di sbocco!)  le montagne di scorte eliminate integre dai consumatori inglesi (i dati recenti parlano di 500 euro di spese alimentari procapite che ogni anno finiscono nella pattumiera senza essere utilizzate).

Insomma, un'iniziativa che è un auspicabile riorientamento ecologico dell'economia, dettato probabilmente anche dalle crisi (ecologica, economica, finanziaria) che hanno bruscamente squarciato il velo di Maya e mostrato la nudità e la debolezza dell'homo consumers (non solo inglese, ma quantomeno occidentale), abituato ormai al rituale periodico dello svuotamento delle proprie stanze per far posto ai nuovi acquisti. I vecchi oggetti/bisogni/desideri vengono trasferiti in una stanza più grande, che è il pianeta, dove finiscono altri oggetti comprati e poi buttati da qualche altro miliardo di persone. Almeno finché anche questa stanza non sarà riempita, perché la capacità di assorbire rifiuti (carryng capacity), quella naturale  e quella artificiale (riciclo, recupero energetico, smaltimento in discarica) è già stata oggi superata dalla mole di nuovi rifiuti in arrivo.

La speranza è che dopo l'uscita dalle crisi, tutto non torni come prima e la locomotiva venga orientata su un nuovo binario di sviluppo, più sostenibile.  

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