[30/06/2010] News

Petrolio, isole e parchi, l’impossibile convivenza italiana

LIVORNO. Oggi il Sole 24 Ore fa, sia nell'edizione nazionale che in quella del Centro-Nord, un excursus sull'impossibile convivenza tra le richieste (e le autorizzazioni) di piattaforme petrolifere offshore e l'economia turistica e l'ambiente di isole come le Egadi e l'Arcipelago toscano tutelate a terra e a mare da parchi nazionali ed Amp. Lo stesso vale per le Tremiti in Puglia, per Pantelleria, per le coste sarde... Anche il giornale della Confindustria è costretto ad una prudente ritirata di fronte ad iniziative petrolifere che cozzano con il turismo che ha salvato le isole italiane dalla miseria e l'ambiente che è la sua unica fonte di sostentamento ed esistenza. Invece, sfogliando l'ultimo rapporto Mare Mostrum di Legambiente sembra che per gli arcipelaghi protetti italiani si stia preparando un futuro da Gul Coast, dove al posto dei pellicani vedremo affogare nelle maree nere prossime venture le berte e i gabbiani corsi.

Nel 2009 la produzione italiana di petrolio offshore è stata 525.905 tonnellate: 353.844 in Zona B (Adriatico centrale) e 172.061 in Zona C (Tirreno meridionale e Canale di Sicilia) ma Legambiente  fa notare che «Nei primi due mesi del 2010 la produzione è aumentata in totale di quasi il 35%, passando da 83.882 tonnellate a 113.136. Nello specifico è stata registrata una flessione dell'8% in Zona B (passando dai 58.020 tonnellate del 2009 alle 53.470 del 2010) e un notevole aumento pari al 130% in Zona C (passando dai 25.863 tonnellate del 2009 alle 59.666 del 2010)». In Zona B il petrolio si estrae da 5 piattaforme e da un totale di 35 pozzi, in Zona C il greggio si estrae da 4 piattaforme e da un totale di 41 pozzi.

Legambiente nel suo rapporto spiega che «Grazie alle semplificazioni della normativa approvate dal governo e a un prezzo del barile a livelli sempre più elevati, è ripartita la corsa all'oro nero, che ha portato molte società energetiche ad avanzare richieste e in alcuni casi ad ottenere permessi di ricerca in zone estese per circa 39mila kmq dislocati in 76 aree, localizzate per la gran parte in aree di elevato pregio ambientale e considerate zone sensibili proprio per i loro ecosistemi fragili e preziosi da tutelare. Stando alla localizzazione delle riserve disponibili, l'allarme trivelle riguarda le aree del mar Adriatico centro-meridionale - tra Abruzzo, Molise e Puglia -, dello Ionio e del Canale di Sicilia. Ma nuove istanze di ricerca sono state avanzate anche per il golfo di Cagliari e Oristano in Sardegna e un'area sorge tra le isole dell'arcipelago toscano».

Senza dimenticare il traffico delle petroliere che gli elbani volevano già allontanare dalla loro isola e da Pianosa prima che arrivasse la notizia che la piccola multinazionale australiana Key Petroleum è già pronta a perforare in due "promettenti" punti di un'area di oltre 600 kmq proprio tra l'Elba, Pianosa e Montecristo. «Ogni giorno le acque del Mediterraneo sono solcate da 2.000 traghetti, 1.500 cargo e 2.000 imbarcazioni commerciali, di cui 300 navi cisterna (il 20% del traffico petrolifero marittimo mondiale) che trasportano ogni anno oltre 340 milioni di tonnellate di greggio, ben 8 milioni di barili al giorno - Spiega Mare Mostrum -  In media nel Mediterraneo si contano circa 60 incidenti marittimi all'anno e in circa 15 di questi sono coinvolte navi che provocano versamenti di petrolio e di sostanze chimiche. Dal 1985 si sono verificati nel Mediterraneo ben 27 incidenti rilevanti con uno sversamento complessivo di oltre 270.000 tonnellate di idrocarburi. L'Italia detiene il primato del greggio versato nei principali incidenti con 162.600 tonnellate, subito seguita dalla Turchia, con quasi 50.000 tonnellate e dal Libano, con 29.000. I principali incidenti con sversamento di idrocarburi nel mare italiano dal 1985 ad oggi sono stati quello della Haven (134.000 tonnellate sversate), Agip Abruzzo (23.000), Chemstar Eagle (4.600) e la Patos (1.000). L'Italia è particolarmente esposta a questo pericolo. Le zone del nostro Paese più a rischio d'incidente a causa dell'intenso traffico marittimo sono lo stretto di Messina, il canale di Sicilia, il Santuario dei Cetacei tra Toscana, Sardegna e Liguria e nonché vari porti, tra cui Genova, Livorno, Civitavecchia, Venezia e Trieste».

Controllate la lista di rotte marittime ed incidenti e scoprirete che si sovrappone a quella delle aree di ricerca ed estrazione offshore chieste e ottenute dalle compagnie petrolifere e che, al centro di questa rete, si trovano quasi sempre arcipelaghi che sono parchi e/o Amp e che sono destinati a diventarlo. Con una mano lo Stato italiano protegge, magari istituendo un Santuario internazionale dei mammiferi marini insieme a Francia e Principato di Monaco, dall'altra mette a rischio l'ambiente e l'economia turistica delle stesse aree aprendo ai petrolieri e consentendo i giochini sporchi delle petroliere che lavano le cisterne a mare per risparmiare tempo che, mai come in questo caso, è denaro.  

Intanto, mentre il governo con quella che Legambiente Sicilia definisce «una sorta di parcomania da collegio elettorale», del ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo, continua ad istituire nuovi parchi nazionali nelle isole, le compagnie petrolifere attuano un vero e proprio assalto al mare italiano, ottenendo permessi di ricerca in zone estese per un totale di circa 39mila kmq in 76 zone, «In gran parte in aree di elevato pregio ambientale e considerate zone sensibili proprio per i loro ecosistemi fragili e preziosi da tutelare», spiega il dossier di Legambiente. Le ultime istanze pubblicate sul Bollettino Ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig) del ministero dello sviluppo Economico sono quelle della Petroceltic Italia (dell'irlandese Petroceltic Elsa) per un'area di 728,20 km2 al largo delle coste abruzzesi tra Pineto e Vasto. La multinazionale irlandese ha chiesto anche permessi di ricerca nel mare tra la costa teramana e le isole Tremiti, un altro arcipelago-parco a terra e mare minacciato anche da una richiesta per un'area di 730 km2.

Le richieste di concessioni in Puglia riguardano anche il mare tra Monopoli e il Salento e nel 2009 le concessioni per la ricerca di idrocarburi sono state già rilasciate alla Shell a Taranto su 1.300 km2. Sulle coste sarde pendono due istanze della Saras e due della Puma Petroleum, per 1.838 km2, tra Oristano e Cagliari. La Puma è il braccio operativo italiano dell'australiana Key, quella che vuole trivellare in mezzo alle isole protette dell'Arcipelago Toscano e al largo di Pantelleria, altra isola dichiarata parco nazionale di recente nonostante la contrarietà della Regione Sicilia e le perplessità di Legambiente. La Shell intanto pensa che davanti alle coste siciliane ci sia «Un autentico tesoro» che porterebbe l'Italia a confermare il dubbio primato di «Paese con più idrocarburi dell'Europa continentale». Ma Legambiente avverte: «Peccato che anche in questo caso le attività estrattive mal si combinerebbero con l'area marina protetta elle isole Egadi e con un'economia basata prevalentemente su turismo e pesca».

Gli ambientalisti fanno anche notare la più che tiepida reazione al disastro petrolifero offshore del Golfo del Messico del nostro governo "parchista", che fa più parchi e poi in finanziaria taglia del 50% i fondi alle aree protette, rendendo così impossibile il loro funzionamento. «In seguito a questo gravissimo incidente - si legge in Mare Mostrum - l'unica risposta ad oggi del nostro governo, per prevenire simili sciagure nel mediterraneo, è stata, il 3 maggio scorso, una richiesta dell' ex-ministro Scajola, di convocazione dei rappresentanti degli operatori offshore per avere notizie sui sistemi di sicurezza ed emergenza delle piattaforme presenti nei mari italiani, oltre la sospensione di eventuali nuove autorizzazioni alla perforazione. Ma alle dichiarazioni non sono seguite azioni concrete. Inoltre è importante notare che il risanamento per un incidente come quello americano nel nostro paese non sarebbe risarcito in maniera adeguata dai responsabili. Infatti ancora oggi le nostre leggi non hanno ancora risolto il problema del risarcimento in caso di disastro ambientale e inoltre le piattaforme non sono coperte dalle convenzioni internazionali come il fondo Iopc (International Oil Pollution Compensation). Per questo ci auguriamo che agli annunci seguano anche le azioni di controllo e gli interventi legislativi necessari ad un'efficace azione di prevenzione, invece che aspettare l'ennesima tragedia ambientale, che in un mare chiuso come è il Mediterraneo avrebbe conseguenze estremamente gravi per tutti i Paesi costieri».

Speriamo che l'attuale ministro ad interim allo sviluppo economico, Silvio Berlusconi, di ritorno dal Brasile (altro Paese che punta molto sulle perforazioni petrolifere offshore), dopo aver schivato le ragazze discinte delle Iene brasiliane ed aver raccontato le solite avventure e barzellette pecorecce da anziano Priapo, si ricordi anche del petrolio, delle isole e dei parchi e delle richieste di stop che vengono da comunità locali che per l'oro nero delle multinazionali rischiano di perdere l'oro "vero" del turismo e dell'ambiente.

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