[08/06/2010] News

L'Italia invasa dai "rossi": i pompodori cinesi

FIRENZE. I media (in particolare quelli televisivi) continuano a moltiplicare la loro offerta di trasmissioni che si occupano di cucina, ma in realtà conosciamo molto poco di quello che mangiamo ed in particolare non conosciamo la provenienza delle materie prime alimentari che poi sono trasformate prima di arrivare nelle nostre tavole. Emblematico il caso del pomodoro cinese, denunciato da Coldiretti.

Stiamo assistendo ad una vera e propria invasione di pomodori provenienti da distanze di oltre 8000 km: gli sbarchi sono triplicati, registrando un balzo del 174% nel trimestre dicembre-febbraio 2010 rispetto al precedente periodo del 2009, anno in cui in Italia sono arrivati 82 milioni di chili di concentrato spacciato come Made in Italy. Questi solo alcuni dati contenuti nel dossier sulle importazioni di concentrato di pomodoro cinese, elaborato da Coldiretti insieme alle cooperative agricole dell'Unci e alle industrie conserviere dell'Aiipa (Associazione italiana industrie prodotti alimentari).

Anche se appare incredibile i pomodori conservati sono la prima voce dell'import agroalimentare dalla Cina (oltre il 34% del totale), la cui produzione, in pochi anni (è iniziata nel 1990) è oggi al terzo posto nel mondo dopo Stati Uniti e Unione europea, con circa la metà del concentrato esportato proprio in Italia. La produzione cinese di concentrati di pomodoro è localizzata nei territori di Junggar e Tarim, nella regione di Xinjiang, a nord-ovest del Paese nei pressi del confine con il Kazakistan dove operano due grandi gruppi: Tunhe e Chalkis Tomato. La filiera del pomodoro cinese  come è intuibile è tutt'altro che corta.

Dalle navi sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso, circa 1.000 al giorno, con concentrato da rilavorare e confezionare come italiano; questo perché nei contenitori al dettaglio, precisa la Coldiretti, è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento ma non quello di coltivazione. Un lacuna che andrebbe velocemente colmata sia per trasparenza nei confronti dei consumatori che devono sapere da dove provengono le materie prime che poi finiscono in tavola sia per conoscere l'impatto ambientale e sociale di tutta la filiera.

Tra l'altro pare che la produzione in Cina sia anche realizzata con sfruttamento del lavoro forzato dei detenuti secondo la denuncia Laogai National Foundation. Così, con un quantitativo di pomodoro cinese che corrisponde a circa il 10% della produzione di pomodoro fresco destinato alla trasformazione realizzata in Italia (nel 2009 e stato di 5,73 miliardi di chili), si producono danni per i produttori italiani che subiscono gli effetti economici di una concorrenza sleale. Tra l'altro informa Coldiretti i numeri del settore del pomodoro da industria sono di rilievo: 8.000 imprenditori agricoli che coltivano su 85.000 ettari, 178 industrie di trasformazione che da lavoro a ben 20mila persone per un valore della produzione di oltre 2 miliardi di euro.

Ma almeno da quanto denunciato nel dossier c'è anche un problema di sicurezza alimentare per un prodotto che piace agli italiani (si stima che le famiglie consumino circa 550 milioni di chili di pomodori in scatola o in bottiglia): le confezioni identiche alle originali vendute in scatole da 400 e da 2.200 grammi come doppio concentrato (28%) con la scritta '100% prodotto italiano', hanno una qualità del contenuto non conforme alla legislazione italiana ed europea. Le analisi parlano chiaro: di pomodoro vero ce n'é ben poco, la maggior parte del prodotto è costituito da scarti vegetali, quali bucce e semi di diversi ortaggi e frutti, con livelli di muffe che eccedono i limiti di legge previsti dalla legislazione italiana. Problemi quindi di ordine economico, ambientale, sociale e sanitario a cui Coldiretti, Unci e Aiipa chiedono di porre rimedio.

Le tre organizzazioni nel dossier hanno avanzato alcune richieste: che venga attuato un protocollo sanitario specifico per il controllo del pomodoro concentrato cinese all'ingresso nei porti comunitari; l'obbligo di indicare l'origine del pomodoro utilizzato nei derivati del pomodoro (l'indicazione dell'origine del prodotto è misura sollecitata dal Parlamento europeo come previsto dalla riforma dell'organizzazione di mercato dell'ortofrutta); l'immediata e tempestiva attivazione del meccanismo di salvaguardia con un dazio doganale aggiuntivo come misura antidumping prevista dalla normativa comunitaria (regolamento 260/2009) come  meccanismo di salvaguardia per le situazioni di grave pregiudizio.

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