[08/06/2010] News

L’energia in salsa cinese

NAPOLI. I successi non mancano. L'obiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio da parte delle 1.000 industrie più inquinanti del paese previsto per il 2010 è stato raggiunto già nel 2008: e in atmosfera sono finite 106 milioni di tonnellate equivalente di carbone (il combustibile fossile più usato) in meno su 3.100 emesse ogni anno. Anche il programma di ammodernamento dei piccoli generatori di energia è stato un successo: negli ultimi anni ne sono stati rinnovati 7.467, con gran risparmio di emissioni serra. E tuttavia in Cina sono preoccupati. Perché, come sostiene la rivista scientifica Nature in un reportage da Pechino, nessuno dei due grandi obiettivi annunciati a Copenaghen saranno raggiunti. Non facilmente, almeno.

I due obiettivi sono: ridurre del 20% l'intensità energetica (ovvero l'energia necessaria a produrre un'unità di ricchezza) e del 10% l'inquinamento entro l'anno 2010 rispetto all'anno di riferimento 2005.

I due obiettivi sembravano a portata di mano. In fondo tra il 1980 e il 2002 la Cina ha ridotto l'intensità energetica al ritmo del 5% l'anno, realizzando quello che gli economisti chiamano "un salto di rana". Ma le emissioni totali non sono diminuite. Perché la domanda di energia e i consumi di combustibili fossili sono aumentati più velocemente dell'efficienza energetica.

A complicare le cose, nell'ultimo decennio, è stato l'autentico boom del mercato delle automobili private. Ne sono state immatricolate a milioni, in Cina. E l'intensità energetica tra il 2002 e il 2005 invece di continuare a scendere è risalita, aumentando del 3,8%. Anche nei primi mesi del 2010 le cose non sono andate bene: in un solo trimestre l'intensità energetica è aumentata del 3,2% per un motivo molto semplice: il «pacchetto di stimolo» da 586 miliardi di dollari stanziati dal governo di Pechino per evitare le conseguenze della crisi finanziaria globale hanno alimentato un formidabile boom dell'industria edile. E le costruzioni divorano energia.

Tutto ciò si è risolto in un bel guaio per i consumi assoluti e, dunque, per la capacità inquinante di quel grande paese. Perché - come nota il californiano Mark Levine, che ha fondato il China Energy Group presso il  Lawrence Berkeley National Laboratory - in questi stessi anni la domanda di energia è cresciuta in Cina a una velocità che non ha precedenti in nessun altro paese e in nessun altro periodo della storia dell'umanità. Con

Risultato: la capacità di emissioni di carbonio e la capacità di inquinamento locale hanno toccato massimi assoluti.

Non si tratta di un risultato scontato. Tutto dipende, ancora, dal "profilo energetico" del paese. Nel 2005 il 70% della domanda di energia cinese era ancora soddisfatta dal carbone, il 20% dal petrolio e il 3% dal gas naturale; mentre il 7% era soddisfatto da fonti "carbon free", come l'idroelettrico (6%) o il nucleare (1%). Si aggiunga a questo un utilizzo ancora molto "sporco" del carbone - utilizzando tecniche di "lavaggio" si potrebbero abbattere emissioni a particelle inquinanti del 15% - e si comprende perché anche le più alte autorità cinesi si mostrano, anche in pubblico, piuttosto preoccupate sulla reale capacità della Cina di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Per questo la Cina si è data come obiettivo di aumentare la fetta dei combustibili non fossili al 15% entro il 2020. E se proprio tutto questo non dovesse bastare, ha dichiarato il Primo Ministro di Pechino, Wen Jiabao, nel recente incontro con la delegazione Usa, sarà ordinato alle industrie di diminuire la loro stessa capacità produttiva. Anche col pugno di ferro.

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