[10/08/2009] News toscana

Libertà del lavoro ed economia verde

FIRENZE. Intanto anche in Toscana si continua a morire di lavoro. Ultimo, giovedì scorso, un edile di 45 anni Francesco Lanciani a Casalguidi (PT). Si continua a perdere il lavoro, nella crisi che non c'è (solo in Italia); uno stillicidio quotidiano: nei distretti, nel commercio, nel turismo; chiudono piccole attività in tutti i settori soffocate dai cordoni della borsa delle banche e dalla domanda che non c'è; la cassa integrazione è una voragine. Ma dalle parti di via Valfonda (Firenze) sembra che "tutto va ben madama la marchesa".

E se la libertà non abita dalle parti del lavoro, molti oggi sono messi in libertà dal proprio lavoro, soprattutto giovani. Se poi sei di mezza età è un vero dramma. La crisi si scarica sul lavoro e lo rende meno libero. Ma qua e la qualcuno ha voglia di provarci e da montagne di difficoltà spuntano addirittura tentativi o progetti di "green-economy". I progetti di riconversione da una economia e una produzione energivore, ecologicamente insostenibili, verso una produzione di merci utili, non superflue, attraverso la produzione di natura (come sono le esperienze di chimica verde), la trasformazione di risorse studiata e verificata tramite bilanci energetici ed ecologici che ne controllino l'equilibrio tra utilità prodotte, utilità "consumate" e natura ripristinata, sono importanti e possono contribuire a riconvertire un apparato produttivo e di consumo obsoleto.

Ma si deve essere consapevoli che non ha prospettive una economia verde fondata sugli stessi paradigmi del lavoro capitalistico ossia senza la libertà del lavoro, il lavoro separato dalla conoscenza.

Il passaggio di ragionamento non è scontato. Si rifletta: se i meccanismi economici rimangono gli stessi l'economia verde potrà colmare la perdita di capacità produttiva in alcuni settori ma non diventerà una nuova forza propulsiva e di rinnovamento. Voglio dire che se da una parte c'è chi lavora troppo e chi non può lavorare (è l'assurdo che vedete se vi girate intorno) vien da dire che si dovrebbe lavorare per vivere e non vivere per lavorare. Ma se ci pensate bene la quasi ovvia e banale affermazione che si dovrebbe lavorare per vivere appartiene alla stessa idea di lavoro dei liberisti che lo concepiscono come "pena" necessaria per vivere e per godere, poi, del cosiddetto tempo libero "fuori dal lavoro" in cui consumare con le stesse logiche alienate. Paradossalmente secondo questa vecchia concezione i disoccupati sarebbero i massimi gaudenti.

 

E invece una società fondata sull'economia verde, cioè sull'abbandono del paradigma della crescita all'infinito non può che fondarsi sul recupero del rapporto profondo e interattivo tra vita e lavoro, estensione del tempo di vita perché il lavoro diventa esso stesso tempo di vita, perché il lavoro si fa libero, sforzo consapevole, preparazione, studio e anche ozio (nel senso di schole di Aristotele[1]) e contemplazione. Così finisce l'era della separazione tra vita e lavoro condannati entrambi nell'angustia dell'appropriazione capitalistica della ricchezza, dell'allocazione delle risorse, della finanza, dei beni pubblici, delle regole del libero mercato.

 


[1] L'ozio come libertà del lavoro. La "New Economy" e Aristotele, di Giovanni Mari, conferenza presso l'I.G.T., aprile 2006

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