[10/08/2009] News

Rivoluzione verde per la Banca mondiale: finanziamenti in base all'impronta ecologica dei progetti

LIVORNO. Dopo anni di contestazioni e pressioni a vari livelli, principalmente per mezzo delle Ong di mezzo mondo, che hanno portato anche alla nascita di un movimento internazionale per la sua radicale riforma, la Banca Mondiale, l'organismo che sotto l'egida delle Nazioni Unite, nato con gli accordi Bretton Wood, serve a finanziare lo sviluppo nei paesi poveri e/o emergenti, ha finalmente deciso di adottare parametri rigorosi per quantificare l'impatto ambientale, in termini di emissioni di anidride carbonica, dei progetti che intende sovvenzionare.

Da più di una parte si mormora tuttavia che dietro questa svolta, più che il riconoscimento delle ragioni delle associazioni ambientaliste e non governative ci sia invece la pressione della nuova amministrazione Obama, che com'è noto è molto sensibile al tema dei cambiamenti climatici e quindi, come primo azionista-contribuente della Banca, sta imponendo la propria filosofia di Governo.

Sta di fatto, indipendentemente da chi si prenda il merito, che la Banca Mondiale, stando a quanto riporta quel privilegiato osservatorio sulla sostenibilità che è il World Watch Institute, sta creando in collaborazione con le altre principali banche di sviluppo regionale del pianeta un metodo comune per stimare le emissioni di CO2 associate ai progetti che si va a finanziare. Con questa stima sulle emissioni ci si aspetta di raggiungere una grande trasparenza sul modo di elargire le sovvenzioni e di incoraggiare i paesi in via di sviluppo a presentare progetti a basso sviluppo di carbonio.

Warren Evans, direttore del dipartimento ambientale della Banca ha dichiarato che ancora non è stato però stabilito in che modo le emissioni di gas serra influenzeranno tecnicamente il meccanismo di concessione dei contributi, poiché il tema di quali e quanti "costi ombra" poter inserire all'interno dei piani finanziari dei progetti verrà dibattuto e stabilito alla Conferenza sui cambiamenti climatici di Dicembre a Copenaghen.

La mancata quantificazione (o meglio monetizzazione) delle emissioni di carbonio (Carbon footprint) sugli investimenti delle istituzioni finanziare internazionali, in particolare quelli relativi alla costruzione di nuove centrali termoelettriche, ha sempre fatto arrabbiare le associazioni ambientaliste. Secondo Environmental defense fund, una delle più attive organizzazioni ecologiste americane, dal 1994 le cinque principali istituzioni finanziarie del globo hanno investito complessivamente in centrali a carbone oltre 23 miliardi di dollari in 96 progetti nei Paesi in via di sviluppo. Di queste cinque corporation, ben tre erano organismi multilaterali sotto l'egida delle Nazioni Unite: World bank group, Asian development bank (ADB), and European investment bank (EIB).

Tuttavia non tutti plaudono all'iniziativa di contabilizzare i costi delle emissioni di gas serra. Alcuni Paesi in via di Sviluppo infatti hanno letteralmente rispedito al mittente le proposte e le analisi della Banca Mondiale, rivendicando il fatto che non sono loro i responsabili dell'effetto serra e non spetta a loro dover ridurre le emissioni, ma i paesi avanzati, Stati Uniti in testa. Inoltre, come sottolineato da alcuni analisti della stessa Banca Mondiale, in questo modo si potrebbero limitare o ridurre drasticamente gli investimenti in alcuni settori chiave dello sviluppo di un Paese, come quello dei trasporti. Si pensi alla costruzione di un'autostrada, che riceverebbe una sproporzionata contabilizzazione dei costi di emissione che ne renderebbe improponibile la realizzazione ed entrerebbe in evidente contrapposizione con la reale esigenza di interconnessione tra diverse aree geografiche, precondizione per qualsiasi strategia di sviluppo locale.

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