[01/06/2010] News

Paesi in via di sviluppo e Ong a Bonn: mettete i soldi sul tavolo

LIVORNO. Ai climate change talks dell'Unfcc in corso a Bonn e che dureranno fino all'11 giugno, la grana più grossa che si palleggiano i delegati è quella di capire come e quando i Paesi sviluppati metteranno sul tavolo i soldi promessi per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Quando nel dicembre 2009 venne firmato il contestato Accordo di Copenhagen, nessuno pensava che una seconda recessione si sarebbe presentata subito all'uscita del tunnel della prima.

«I tempi sono duri, soprattutto in Europa - ha spiegato in un briefing a Bonn  il dimissionari capo dell'Unfccc Yvo de Boer - Ma i 10 miliardi di dollari l'anno per tre anni da parte di tutti i paesi industrializzati non è una richiesta impossibile, mantenere questa promessa darà una maggiore fiducia tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi sviluppati. Ci vorranno generazioni per la lotta a lungo termine per un clima più sicuro».

A Copenhagen erano stati promessi finanziamenti a breve termine per 30 miliardi di dollari per l'adattamento e la mitigazione per i cambiamenti climatici e 100 miliardi di dollari a lungo termine entro il 2020. Le altre promesse che consentirono agli Usa ed al Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) di firmare l'accordo di Copenhagen erano quelle di mantenere l'aumento delle temperature globali al di sotto dei 2 gradi, comunque molto meno di quello che chiedevano i piccoli Stati insulari e Paesi con vaste aree costiere a rischio di essere sommerse dell'aumento del livello del mare.

Oxfarm e Friends of the Earth, hanno suggerito alcuni modi per aiutare i Paesi poveri «Senza fare bancarotta». Oxfam a Bonn ha presentato un rapporto che esorta i Paesi ricchi a guardare ai fondi per l'adattamento al cambiamento climatico e la mitigazione come ad «Un investimento in un futuro comune».

«Nel clima economico attuale le somme necessarie appaiono scoraggianti, però sono entro i limiti del possibile - ha detto Antonio Hill, senior policy advisor di  Oxfam - Il modo migliore per farlo è quello di mettere insieme un pacchetto di meccanismi innovativi che non si basino direttamente sui contributi diretti dai bilanci dei Paesi ricchi».

Oxfam ha proposto di trovare i soldi nei bilanci per sovvenzionare i combustibili fossili, o dalla vendita all'asta delle quote di emissione degli Emissions Trading Schemes (Ets) nazionali, dove le industrie ad alto consumo energetico possono acquistare e vendere permessi ottenendo in cambio di continuare ad emettere CO2.  L'Ue utilizza l'Ets come meccanismo principale per la riduzione delle emissioni.

Il rapporto di Oxfarm avvete: «Visto che questi investimenti sono destinati a ridurre la vulnerabilità (piuttosto che aumentare la capacità produttiva), vi è il rischio che le spese per l'adattamento possano essere le prime a finire sotto la scure quando bilanci nazionali vengono tagliati». 

Per Tom Picken, degli Amici della Terra, una tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe mettere a disposizione della lotta al global warming miliardi di dollari l'anno: «Molti paesi e il G20 stanno valutando un prelievo bancario, ma non c'è il rischio concreto che diventi un fondo assicurativo per salvare in futuro il settore finanziario, invece di fornire una fonte di finanziamenti sicuri per il clima e lo sviluppo, una migliore regolamentazione del settore finanziario eviterebbe il futuro collasso. Ci si aspetta che i soldi impegnati per il fast-start funding arrivino con ampio ritardo all'Oda (Official Development Assistance), quindi non ci sarà nuovo denaro in più per tutti. Penso che sia importante anche garantire che io dibattiti sul finanziamento climatico  sono chiaramente strutturati attorno alla questione del risarcimento piuttosto che dell'aiuto. I Paesi sviluppati stanno cercando di creare il precedente che sia okay ritenere i finanziamenti climatici come Oda, (aiuto pubblico allo sviluppo, ndr), anche se con questi condividono alcuni obiettivi, devono essere contributi che non si sostituiscono l'uno con l'altro».

L'unico ottimista sembra essere Tewolde Egziabher, direttore della Environmental Protection Authority dell'Etiopia che in realtà è il vero ministro dell'ambiente di Addis Abeba: «Dobbiamo riuscirci perché è una cosa che  riguarda tutti. Troveremo un accordo, se non in Messico, poi a Johannesburg il prossimo anno».

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