[20/05/2010] News toscana

La Cia condivide le linee della Regione per i boschi toscani (ma l'antropocentrismo resta...)

FIRENZE. «Il pacchetto di interventi contenuti nella delibera di indirizzo della regione Toscana, che comprende difesa del suolo, selvicoltura sostenibile, energia dal bosco, filiere locali, zootecnia in bosco, risponde ad obiettivi condivisibili ed indica linee di azione concrete. La regione Toscana ha ben compreso come per salvaguardare le foreste occorra coniugare interventi di sviluppo che garantiscano reddito e lavoro al settore, con regole certe e rigorose che salvaguardino il valore ambientale insostituibile dei nostri boschi».

E' quanto ha sostenuto ieri la sezione toscana della Confederazione italiana agricoltori (Cia) nelle parole del suo presidente Marco Failoni, in riferimento allo stanziamento straordinario decretato dalla Regione per la gestione sostenibile del territorio forestale regionale. Oltre ai 30 milioni di euro annuali stanziati in via ordinaria nel Programma forestale regionale, la Toscana (vedi link in fondo alla pagina) ha infatti previsto investimenti straordinari per 32 milioni sul biennio (di cui, si legge in un comunicato, «10 per le sistemazioni forestali, 6 milioni per lo sviluppo della produzione di energia, altri 6 per la selvicoltura sostenibile, 4 per la promozione dell'attività zootecnica ed ulteriori 6 per la filiera del legno recuperando usi e tradizioni locali») e 12 milioni per il solo 2010.

Secondo il responsabile di Cia Toscana, «nel piano straordinario per le foreste dovranno essere poste al centro azioni specifiche per il potenziamento ed il sostegno del sistema delle imprese operanti in campo forestale: promozione di consorzi e forme associative, affidamento della manutenzione del territorio alle imprese locali, accordi di filiera per lo sviluppo della filiera energetica, qualificazione del lavoro e lotta al lavoro nero», tutti ambiti di azione che secondo Failoni «rappresentano interventi essenziali per il rilancio del settore, senza i quali gli sforzi di investimento rischiano di disperdersi senza creare quella nuova economia sostenibile che rappresenta l'obiettivo della strategia regionale».

E fin qui niente da eccepire, anzi registriamo con soddisfazione la concordia tra la Regione e una delle più influenti associazioni di agricoltori nel porre al centro del "rilancio" dei boschi toscani le questioni energetiche e quelle inerenti alla filiera corta, accompagnando questi due elementi (sì innovativi, ma che comunque riprendono pratiche già radicate nei contesti rurali, e che vanno prima di tutto "aggiornate" alla luce degli odierni obiettivi) con il sostegno ai due ambiti di azione tradizionalmente più significativi nella politica forestale, e cioè la selvicoltura sostenibile e le opere idrogeologiche e/o di difesa del suolo.

Poi, come greenreport ha sottolineato più volte, occorrerà anche vedere in che modo sarà compiuto questo rilancio delle foreste toscane, cioè se davvero i criteri di sostenibilità saranno presi come centrali, o meglio come invalicabili in termini di prelievo sostenibile della risorsa-legno e dei prodotti secondari, di tutela della biodiversità e del paesaggio, del necessario aggiornamento infrastrutturale (impianti energetici e infrastrutture di mobilità), di effettivo sostegno alla natura locale della filiera, di efficace quantificazione (anche economica) e valorizzazione dei servizi ambientali e sociali resi dall'ecosistema-bosco.

E naturalmente conterà anche con quale mentalità la Toscana si approccerà al rilancio dei suoi boschi, nel senso che la linea di demarcazione tra un "nuovo rilancio" dell'economia del bosco e un "nuovo saccheggio della montagna" è sottile, e passa anche nella comunicazione che verrà fatta, sia da parte degli stakeholder istituzionali sia di quelli tecnici, come la stessa Cia. Ad esempio, desta perplessità per esempio l'affermazione dell'associazione quando dice, «il bosco ha bisogno di essere "coltivato" per poter essere salvaguardato; tagliare il bosco, seguendo i criteri e le regole della buona selvicoltura, vuol dire rinnovarlo e garantirne la tutela e la crescita. Per dare una prospettiva ai nostri boschi occorre promuovere attività economiche che garantiscano reddito a chi ci vive e ci lavora».

Quindi il bosco se non viene tagliato non si rinnova e non cresce? Naturalmente non è così: il taglio sostenibile del bosco serve a garantire non la perennità del bosco (il quale - com'è ovvio e come ripetutamente si può leggere nella letteratura accademica dedicata, che si è più volte spesa per "chiarire l'equivoco", in questo senso - vegeta in uno stato di equilibrio dinamico, stato che l'intervento antropico può solo peggiorare, se mal condotto) ma la perennità dei prelievi che se ne possono trarre. Coi tagli, cioè, si permette l'attivazione e il mantenimento di un'attività economica, e quindi la creazione di lavoro, come pure sostiene la Cia e la stessa Regione, che stima in «600 posti di lavoro, di cui 200 nuovi» l'impatto occupazionale annesso alle nuove misure. Ma, essendo le attività selvicolturali niente altro che una "simulazione" dei processi naturali che l'uomo compie per trarne un (più che legittimo, e anzi fondamentale per l'economia montana e per la vita stessa nei territori rurali) vantaggio economico, è lapalissiano che senza questo disturbo il bosco sarebbe caratterizzato da una maggiore qualità in termini di diversità, complessità vegetazionale, bilancio di elementi nutritivi, finanche di stabilità idrogeologica e di regimazione degli apporti meteorici.

Poi è ovvio che questo discorso vale in linea generale, mentre nel dettaglio si possono avere condizioni specifiche che invertono la relazione: ad esempio, se in linea generale la stabilità idrogeologica di un pendio è massimizzata dalla complessità vegetazionale del bosco che lo ricopre, in alcuni casi è invece preferibile, per la sicurezza umana, l'impianto artificiale di essenze specifiche.

Ma ciò non cambia il senso del discorso: pensare che "il bosco viva meglio grazie alla selvicoltura" è un retaggio di quella mentalità antropocentrica, ancora oggi molto radicata nella società italiana, che vede il capitale naturale (bosco compreso) come un "frutto" che l'uomo non deve far altro che cogliere, e non come il sovra-insieme che contiene la società umana e le permette la creazione di un sistema economico.

Torna all'archivio