[19/05/2010] News

L’Indonesia come Berlusconi: «Socializzare il nucleare»

LIVORNO. Non c'è solo il nostro presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ad essere convinto che occorre una bella campagna televisiva e propagandistica per convincere il popolo della bontà e sicurezza dell'energia nucleare: l'Indonesia, che lunedì ha (ri)annunciato la volontà di costruire la sua prima centrale nucleare, è ancora più avanti, ha stanziato 7 miliardi di rupie (circa 769.633 dollari) per la "socializzazione" degli impianti atomici  e per ridurre la contrarietà e la paura della gente.

Il ministro per la ricerca e la tecnologia di Jakarta, Suharna Suryapranata, ha ammesso che «La resistenza è emerso da vari elementi del popolo». Chi è colpevole di questa paura e resistenza, è perché c'è il bisogno di "socializzare" (leggi convincere) il popolo indonesiano?  Sarà forse perché nel più popoloso paese islamico del pianeta sanno di vivere in migliaia di isole sottoposte a violenti terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche, alluvioni e gigantesche frane? Forse perché il "popolo" sa che in queste condizioni ambientali, geologiche  e climatiche sarà ancora più difficile trovare un posto sicuro dove stoccare le scorie nucleari per migliaia di anni senza contaminare terra ed acqua? O forse perché, in un Paese dove la corruzione politica è la norma riguardo alla rapina delle risorse naturali, è sempre più chiaro quello che dice e scrive il noto ambientalista britannico Jonathon Porritt? «Sono le pratiche contabili fraudolente quasi endemiche dell'industria nucleare, che continuano ad accecare alcune persone sui veri costi economici e le penalità che comporta il nucleare?». Infatti, se l'energia nucleare fosse davvero così sicura, pulita, economica e affidabile come insistono a dire i suoi sostenitori, non ci sarebbe alcun bisogno di ''socializzare", né in Indonesia né in Italia...

I paladini del "rinascimento" nucleare dicono che si tratta solo di allarmismo, non la pensa così uno che di nucleare se ne intende: Yukiya Amano, il direttore generale dell'International atomic energy agency (Iaea), l'Agenzia Onu incaricata di "sorvegliare" e aiutare I Paesi a sviluppare il nucleare civile, che in un'intervista a Blomberg Bussinessweeck di questa settimana (UN Atomic Chief Amano Warns That Nuclear Accidents May Rise)  dice: «Gli Stati membri stanno valutando l'introduzione di centrali nucleari. Non si possono escludere incidenti. Se ce ne sono  di più, avremo  alcuni rischi».

L'Iaea pensa che entro il 2030 ben 25 Paesi avvieranno lo sviluppo di impianti nucleari, con un investimento complessivo per la costruzione di nuove centrali atomiche di circa 270 miliardi dollari. Il Pew Center on Global Climate Change Usa dice che il livello di interesse per l'energia nucleare è in rapida crescita dopo lo stallo seguito alle catastrofi di Three Mile Island del 1979 negli Usa e di Chernobyl in Ucraina nel 1986. Amano avverte che «Le risorse di uranio supplementari necessarie per alimentare i reattori possono creare rischi di sicurezza ai quali l'opinione pubblica deve prepararsi. Abbiamo il problema della sicurezza nucleare e del terrorismo nucleare. La gente deve capire che se un tale evento avrà  luogo, saranno esposti a radiazioni». Il direttore dell'Iaea è preoccupato per l'incidente accaduto in India il 9 aprile, che ha provocato la morte di una persona e ne ha gravemente contaminate altre 6 entrate in contatto con una sorgente radioattiva finita in un impianto di riciclaggio di rifiuti rottami metallici, e pensa che sia possibile che gruppi terroristici possano utilizzare questo tipo di materiali per fabbricare "bombe sporche".

Secondo la  Nuclear Posture Review, un rapporto del governo Usa sulla strategia per le armi atomiche reso noto il 6 aprile, «Il pericolo più immediato di oggi è il terrorismo nucleare» e Obama ha promesso finanziamenti all'Iaea  per aiutarla a fare in modo che i materiali ed i rifiuti  nucleari civili non si trasformino in possibili armi per i terroristi. Amano, che per mestiere fa l'equilibrista nucleare (limita il flusso di materiale nucleare e favorisce l'esportazione di tecnologie atomiche), assicura che «Quando forniamo materiale, prendiamo precauzioni che questo materiale non debba  essere utilizzato per fini militari». La cronaca, la storia, le vicende del dossier iraniano e prima del Pakistan, dell'India e della Corea del Nord dimostrano che questo non è vero e non è possibile, soprattutto ora che altri "Stati canaglia" o regimi inguardabili rivendicano il diritto di avere il nucleare civile mentre testano missili capaci di ospitare un'ogiva nucleare.

Eppure l'Iaea era stata fondata nel 1957 dal presidente Usa Dwight Eisenhower sotto il l motto "Atoms for Peace," e con lo scopo  di aiutare i Paesi in via di sviluppo ad accedere all'energia nucleare. Il risultato sono stati grosse grane atomiche come Iran, Pakistan e Siria, dove il confine tra nucleare civile e militare è considerato pericoloso dalle altre potenze militari nucleari, o addirittura è già stato valicato.

Amano ripete su Blomberg Bussinessweeck il mantra dell'Iaea: «E' molto importante trasmettere un messaggio chiaro allo staff e agli Stati membri: la nostra attività non deve essere utilizzata per scopi militari».

Sul tavolo ha però la grossa patata bollente iraniana ed una ancora più grossa e mai affrontata: il dossier nucleare di Israele che dice di voler trattare «in modo imparziale e professionale» già al member board of governors dell'Iaea che si terrà il 7 giugno a Vienna. «Questo è un tema molto delicato e importante - dice Amano -  Sono obbligato ed ho un preciso mandato di stilare un rapporto sulle capacità nucleari di Israele».

Anche se Israele non ha mai ammesso di possedere armi atomiche, la Nuclear Threat Initiative, un tink-tank di Washington co-presieduto da Ted Turner e dall'ex senatore americano Sam Nunn, dice che «Lo Stato ebraico possiede abbastanza materiale per avere tra 100 e 200 armi nucleari». Forse anche le parole e le paure e i dati del presidente dell'Iaea e degli  americani andrebbero "socializzati".

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