[18/05/2010] News

Il welfare ha rovinato l'Europa (secondo i gattopardi italiani)

LIVORNO. Le interpretazioni creative  del mondo che ci dobbiamo aspettare dopo l'ennesima crisi finanziaria  e dopo le soluzioni messe in campo per rispondere a questo fallo, sono le più disparate, anche perché possono essere declinate ai vari livelli geografici e non toccando almeno direttamente gli Stati Uniti, danno più ampi margini di spaziare ai commentatori europei, che questa crisi greca e dei pigs la vedono come cosa loro molto di più della crisi globale del 2008.

Piacerebbe poterla leggere come una grande opportunità, almeno per il nostro Paese, un po' come si augura  oggi sul Sole 24 ore Michele Ainis: «Ora arrivano tempi di vacche magre, di risparmi forzosi. Sarà forse la crisi economica a guarirci dalla nostra crisi morale» intendendo quella della politica italiana, corrotta al punto tale che oggi sorvoliamo su arresti, corruzioni, tangenti del più alto establishment politico senza stupirci troppo, quasi assuefatti, quasi napoletanizzati (nel senso della rassegnazione di fronte all'ineluttabilità dell'illegalità, come a Napoli lo si è di fronte alla camorra).

E' per questo che pur nella sua miopia che scambia la causa con gli effetti e con la soluzione, l'editoriale di ieri del Corriere della sera a firma  di Piero Ostellino (oggi duramente criticato  da Valentino Parlato sul Manifesto, ma anche ribadito - seppur chiosato - sullo stesso Corriere da Angelo Panebianco) coglieva il rischio più grande che sembra correre l'Europa: quello di sacrificare all'altare della finanza quel welfare che costituisce la vera identità culturale europea, pur nelle sue mille sfaccettature.

Effettivamente far risalire le cause della crisi europea o meglio della crisi delle tante Europa, alle prestazioni sociale pare veramente esagerato. Eppure questo ribadisce oggi il Corriere: « il socialismo europeo è stato, prima di tutto, e soprattutto, uso della spesa pubblica per fini di ridistribuzione, ampliamento costante di quelli che, nel linguaggio socialista, venivano chiamati «diritti» (ossia, l' accesso alle prestazioni sociali dello Stato) in nome di un principio di uguaglianza. Ma se tutto questo diventa economicamente insostenibile, se persino il carattere universale delle prestazioni di welfare (che comunque, ancorché ridimensionate, sopravviveranno) rischia di essere messo in discussione a causa della scarsità delle risorse e della conseguente necessità di scegliere i soggetti a cui continuare a erogare le prestazioni e i soggetti da escludere, il socialismo finisce per perdere gran parte della sua ragione sociale».

Non bisogna essere economisti per capire che questa sarebbe la fine della politica e la consegna al mercato del nostro residuo  barlume di societas , intesa come insieme di individui (società umana) o di animali  che condividono fini e comportamenti e si relazionano congiuntamente per costituire un gruppo o una comunità. L'individualismo capitalistico esacerbato dalla finanziarizzazione chiuderebbe la partita con un cappotto totale arrivando, come dice Valentino Parlato, «a cancellare quel poco di stato sociale che c'è e anche la Costituzione (che dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro), si deve concludere che a comandare nel nostro paese (e anche sui media) debbono essere gli interessi forti dei capitalisti e degli sfruttatori».

Sinceramente, e parlo a titolo personale, la sfiducia che ho in questa Italia così gattopardiana,  è almeno pari alla fiducia (o speranza) che ripongo nell'Europa. Aggrappiamoci dunque alla speranza che la crisi attuale (solo una scossa d'assestamento della crisi del 2008) almeno oltralpe sia davvero capita come unì'opportunità. L'opportunità per ridare un ruolo alla politica, quello di scrivere delle regole e di indirizzare l'economia affinché ridiventi lo strumento per governare e ridistribuire le risorse del pianeta.

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