[17/05/2010] News

L’Afghanistan e noi

LIVORNO. Quando iniziò l'incomprensibile "missione di pace" in Afghanistan voluta da George W. Bush ed appoggiata da quasi tutte le nostre forze politiche si disse che andavamo a liberare gli afghani dai talebani amici e protettori di Osama Bin Laden che aveva ordinato di far schiantare tre aerei sulle torri gemelle di New York e sul Pentagono. Una volenterosa missione per la democrazia che le first lady occidentali ci dissero avrebbe liberato le donne afghane dal burka e restituito il Paese ad una democrazia che, a dire il vero, tra monarchia tribale, governi comunisti e islamisti ed aree governate da feroci signori della guerra, l'Afghanistan non ha mai conosciuto.

Tutti sapevano che dietro quell'intervento c'erano altre preoccupazioni: aprire nuove rotte del gas e petrolio tra il cuore ex sovietico dell'Asia e l'Oceano Indiano, impedire che gli integralisti pakistani che avevano addestrato e armato (insieme agli occidentali) i talebani in funzione antisovietica, si impadronissero della bomba atomica islamica di Islamabad, tenere sotto controllo il mercato dell'oppio... Sia gli obiettivi "buoni" che quelli "reali"  e non detti sono falliti: la democrazia in Afghanistan è rappresentata da un presidente debolissimo, asserragliato a Kabul, che ha vinto le elezioni in maniera fraudolenta e che presiede un governo di tagliagole, fanatici religiosi e signori della guerra che hanno creato narco-califfati assoluti e militarizzati all'interno di uno Stato repubblicano inesistente, dove i talebani che si dovevano sconfiggere hanno il controllo di un territorio forse più vasto di quando governavano. Le donne sono ancora più oppresse di prima, il burka che la signora Bush ci assicurava sarebbe stato loro strappato di dosso copre i loro diritti e la loro vita di non-persone, schiacciate da uno spietato islam talebano che attacca le scuole dove studiano le bambine e dai volenterosi aguzzini delle donne che siedono numerosi sugli scranni dell'impotente parlamento di Kabul.

L'oppio, la droga, l'eroina, che i talebani avevano praticamente eliminato dai territori da loro governati, è diventata denaro sonante per comprare armi e corrompere politici e l'unico mezzo di sostegno per una popolazione sempre più impoverita, con sempre meno diritti, mancante dei servizi di base, tanto che fanno paura i medici di Emergency che ricordano che è possibile anche un'altra vita, un altro rapporto tra gli esseri umani, che il fanatismo, la guerra, l'odio e la corruzione non sono l'unica strada percorribile in questo Paese devastato, disperato e dolente, dove dobbiamo nuovamente contare i nostri morti e feriti per una guerra della quale tutti hanno scordato le ragioni dell'inizio e che nessuno capisce come potrà finire.

Ormai l'Afghanistan è un narco-Stato che fornisce il 90% dell'oppio del mondo e dove, a sentire gli americani, il fratello del presidente Karzai controlla il mercato della droga, commerciando sia con i talebani pashtun che con i signori della guerra tagiki e uzbechi alleati della Nato, come sanno bene iraniani e russi che si vedono invasi da un flusso inarrestabile di eroina verso i mercati occidentali  che ha portato al loro interno a livelli di tossicodipendenza prima sconosciuti.

Una guerra che non ha aperto le vene intasate del petrolio dell'Asia centrale, che ha destabilizzato i Paesi confinanti consegnandoli a indecenti dittature nazional-islamiste di eterni satrapi post-comunisti, che solo qualche disperata rivoluzione riesce a detronizzare, per sostituirli con governi pronti a vendersi di nuovo agli ex compagni russi o ai nuovi padroni americani che li usano come retroguardia per rifornire le loro truppe o per lanciare droni "intelligenti" che colpiscono a casaccio, seminando morte tra sposalizi e funerali ed odio per le truppe "liberatrici", viste sempre di più come l'eterno occupante che cerca di conquistare l'inconquistabile Afghanistan, che sfida la modernità dalla sua medievale integrità islamica, dalla sua eterna fame, disperazione, dal suo inguaribile fatalismo di popolo con troppi padroni e cattivi maestri.

All'inizio della guerra (ops, della missione di pace), gli italiani sembravano al sicuro nella loro area lontana dalle ultime ridotte talebane del confine tribale con il Pakistan dove tutto si mischia e dove la geopolitica delle ovattate stanze delle cancellerie occidentali sprofonda nel gorgo dell'odio per i "cani occidentali", nel tradimento e nel doppiogiochismo dei servizi segreti di Islamabad e nell'incapacità atavica di capire cosa succeda davvero in questo "mondo a parte" che ha il difetto di esistere nella nuova faglia sismica della politica mondiale, nel cuore polveroso e incandescente dell'Asia, tra india, Pakistan e Cina, incastonato tra i tesori petroliferi, gasieri e uraniferi delle dittature energetiche dell'Asia centrale, tra l'Iran disubbidiente e lo Stato-mercato russo con i suoi sogni di potenza e di impero.

Niente sembra cambiato dai tempi del grande gioco colonialista di Kipling, se non che l'ex impero inglese manda i suoi soldati a fare da truppe di complemento al nuovo e acciaccato impero americano e che tra i volenterosi soldati della Nato ci sono anche i nostri ragazzi, mandati a far la guerra e a morire in un Paese lontano e per una causa  incomprensibile, della quale abbiamo smarrito ragioni e speranze.

Chissà quale odio inconcepibile, quale vendetta e rivalsa, quale tentazione di paradiso avrà spinto qualche povero contadino-guerrigliero afghano, che forse ha studiato solo il Corano nella versione spietata e senza speranza dei talebani, a piazzare l'ordigno che ha distrutto i blindati italiani sulla strada sconosciuta di Bala Murghab?

Per una volta ci sembra abbia ragione il ministro leghista Calderoli, bisogna verificare se questi sacrifici servono, mentre le parole di Berlusconi, «Noi fondamentali per la pace», non bastano, bisognerebbe capire quale pace sia questa infinita mattanza, e soprattutto cosa e chi stiamo difendendo nelle ghiacciate montagne e nelle polverose valli dell'Afghanistan, quali sono i reali interessi che si nascondono dietro i campi coltivati a papaveri da oppio. Perché questo diroccato castello medievale di montagne e pietre, case di fango e povertà, questo disastro ambientale e sociale seminato di mine e crudeltà, valga tante vite dei nostri soldati. Perché la difesa di una democrazia inesistente che vive di corruzione e traffici innominabili nelle caotiche strade di Kabul valga tanto giovane sangue italiano, tanti picchetti d'onore, tante roboanti parole patriottiche, tante lacrime di famiglie straziate e tante promesse di ricordo eterno che lasceranno tracce solo in una medaglia al valore e in una povera lapide dimenticata su un muro di paese.

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