[10/05/2010] News

Le Deepwater Horizon dimenticate e possibili nel pianeta assetato di petrolio

LIVORNO. Dopo il fallimento (annunciato da molti esperti) dell'operazione "campana" che avrebbe dovuto tappare la falla da cui sgorga il petrolio sul fondo del Golfo del Messico, la preoccupazione per la catastrofe ambientale della Deepwater Horizon aumenta di ora in ora e pone serie domande sulla continuazione delle trivellazioni petrolifere in acque profonde, la profezia dell' "easy oil", del petrolio facile, si è rivelata in tutta la sua drammatica inconsistenza e, come fa notare Greenpeace Usa, si tratta di «Un territorio sperimentale. Un territorio più rischioso. Più remoto e, troppo spesso, un territorio ambientalmente più vulnerabile».

Secondo il geologo Chris Rowan, che scrive sul seguitissimo ScienceBlogs, «L'estrazione del petrolio è più rischiosa di quanto si pensi. Le cause dell'esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizon, che ha portato alla fuoriuscita di 5.000 barili (210.000 litri) di petrolio al giorno nel Golfo del Messico, e ad una chiazza di petrolio che può essere vista dallo spazio, sono ancora oscure Ciò che sappiamo finora non dà un'immagine particolarmente buona della BP, che a quanto pare ha sottovalutato l'entità delle perdite dopo l'incidente». Rowan riprende un articolo del New York Times che riferisce che la BP non solo avrebbe superato il limite di profondità contenuto nella concessione, ma che avrebbe anche deciso di installare  una valvola "cut-off" nel pozzo, scegliendo di non installare un altro dispositivo di sicurezza che avrebbe potuto chiudere il pozzo dopo l'esplosione e il naufragio della piattaforma. Insomma, la BP poteva scegliere ed ha scelto l'opzione peggiore.

«Ma c'è un argomento più ampio da prendere in considerazione - scrive Rowan - Attualmente nell'industria delle trivellazioni offshore è in una fase di transizione. La maggior parte dei target facili sono già stati sviluppati, e la domanda mondiale di petrolio ancora non diminuisce. Nel tentativo di placare questa sete, l'attenzione si sta spostando verso aree tecnicamente difficili, con una geologia più complessa e spesso nelle acque più profonde della scarpata continentale. La crescente complessità delle attrezzature richieste per perforare in tali aree aumenta il numero di cose che possono andare storte, e la localizzazione delle perforazioni rendono molto più difficile la possibilità di evitare fallimenti catastrofici, come stiamo vedendo fin troppo chiaramente».

Per il geologo statunitense, anche se si riuscisse ad annullare l'impatto sul clima del petrolio, rimarrebbero sempre i rischi ambientali legati alla trivellazione e al trasporto, «Però non sono sicuro che molte persone capiscano davvero che nei giacimenti petroliferi più recenti che si stanno sviluppando, e le proposte per un loro sviluppo, questi rischi sono potenzialmente molto più elevati. Il fatto che le pratiche industriali, nel complesso, non abbiano portato a grossi sversamenti negli ultimi due decenni non rappresenta alcuna garanzia che in quelli nuovi si riducano i rischi a livelli accettabili, in aree di trivellazioni estreme. Questo è particolarmente vero quando, in assenza di un esame rigoroso dei regolamenti, le compagnie petrolifere sono tentate di prendere scorciatoie che possono non avere portato a disastri in passato, ma che potrebbero essere catastrofiche se i margini di sicurezza sono ridotti». Rowan fa un parallelismo tra la tragedia della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico e l'eruzione del vulcano di fango Lusi, in Indonesia, causata da perforazioni esplorative. «In entrambi i casi, la trivellazione si svolgeva in un contesto difficile di perforazione, con bassi margini di errore (nel caso di Lusi, il buco sospetto è stato perforato in una zona "adatta" alla formazione di un vulcano si fango). In entrambi i casi, le società di perforazione non hanno seguito assolutamente la migliore prassi (nel caso del Lusi, non sono riusciti a forare bene, il che avrebbe probabilmente impedito il blow-out). In entrambi i casi le conseguenze ambientali ed economiche per l'area circostante sono gravi e di lunga durata».

Al momento, l'attenzione è giustamente posta sul tentativo di sigillare la gigantesca falla dell'Horizon Deepwater, riducendo il più possibile il danno ambientale nel Golfo del Messico, ma secondo il geologo «Un fatto non può e non deve, essere ignorato: la domanda di petrolio non si ridurrà molto presto. Ed è la domanda che porta alla trivellazione in luoghi dove succedono gli incidenti di questo tipo, con perdite grandi e difficili da arginare, che saranno sempre di più un grosso rischio. E le nostre norme di sicurezza devono essere in continua evoluzione per adattarsi a questa nuova realtà. Per cominciare, propongo che le valvole shut-off cessino di essere un'opzione extra sulle piattaforme di trivellazione».

Greenpeace è convinta che bisognerebbe mettere un "tappo" a tutto questo molto più velocemente di quello che la BP sta dimostrando di non saper fare nel Golfo del Messico e ricorda che il mondo è già riuscito a mettere la moratoria sulle ricerche petrolifere in Antartide. «Per cominciare - dicono gli ambientalisti - ci piacerebbe proporre il divieto di trivellazione negli oceani più vulnerabili del mondo. Ci i piacerebbe proporre che i mari polari siano off-limits alle piattaforme petrolifere, all'esplorazione petrolifera ed al trasporto di petrolio. Per cominciare, dovremmo tutti chiedere riserve marine per proteggere il 40% degli oceani del nostro mondo, e renderli off-limits al petrolio».

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