[05/08/2009] News

Biomi mediterranei e cambiamento climatico: la perdita di biodiversità si ferma con più parchi

LIVORNO. Quando si parla di Mediterraneo noi pensiamo al Mare Nostrum, ma invece il clima di tipo mediterraneo interessa 1,5 Km2 in cinque continenti, mentre la mappa dei biomi mediterranei riguarda 3,2 milioni di Km2. Il 60% di questi habitat è compreso nel Bacino del Mediterraneo, il 9% nella la costa della California Usa e il nord ovest della Baja California messicana, il 4% Cile centrale ed Argentina, il 2% nella regione del Capo in Sudafrica e il 25% nelle coste dell'Australia meridionale e del sud-ovest. Zone che sono altrettanti hotspots della biodiversità globale e del cambiamento climatico. Di questi ambienti e dell'adattamento climatico delle loro specie  si sono occupati  Kirk R. Klausmeyer e M. Rebecca Shaw, due ricercatori Usa di The Nature Conservancy, nella loro ricerca "Climate Adaptation Potential of Species in Mediterranean Ecosystems Worldwide" pubblicata su PloS One.

Klausmeyer e Shaw spiegano che si tratta di un lavoro «Basato sui risultati combinati ridimensionati di 23 modelli di circolazione generale atmosfera-oceano (Aogcm) per tre scenari di emissioni, abbiamo determinato la proiezione spaziale delle turnazioni nella mediterranean climate extent (Mce), nel corso del prossimo secolo. Anche se la maggior parte delle Aogcm prevedono  una moderata espansione globale dell'Mce, gli regionali impatti sono ampi ed irregolari. La simulazione media dell'output Aogcm per i tre scenari Mce alla fine del XXI secolo in Cile l'aumento di emissioni di gas serra va da 129 al 153% in più rispetto alle sue attuali dimensioni, mentre in Australia, la contrazione sarà del 77 - 49% rispetto ad oggi, in totale comunque avremo una perdita di un'area di ambienti mediterranei equivalente ad oltre il doppio della dimensione del Portogallo ed interesserà anche Paesi che ridurranno le loro emissioni climalteranti». «Ad esempio - sottolineano i due ricercatori - la media delle proiezioni del futuro Mce nel bacino del Mediterraneo è più grande che dell'attuale change mechanism, ma la maggior parte delle simulazioni Aogcm prevedono contrazioni in Marocco e in Medio Oriente. La separazione geografica tra le aree di contrazione ed espansione all'interno di ciascuna regione hanno importanti implicazioni per l'adeguamento delle piante e degli animali con limitata capacità di dispersione o di migrazione».

La maggior parte delle perdite di specie e biodiversità in Australia, Usa, Iran, Israele e Libia è attribuibile all'aumento delle temperature invernali, mentre le perdite in Argentina, Sudafrica, Marocco e Siria sono causate da un calo annuo delle precipitazioni. Solo il 4% della superficie terrestre è attualmente protetta all'interno dell'area Mce in tutto il mondo (rispetto a una media globale del 12% per tutti i tipi di biomi), e, a seconda dello scenario di emissioni, solo il 50-60% di queste aree protette in futuro rimarranno probabilmente Mce. Esacerbando l'impatto sul clima, quasi un terzo (29 - 31%) dei suoli del Mce si prevede che rimarrà stabile mentre il resto è già stato convertito per uso umano, limitando le dimensioni dei potenziali rifugi climatici e diminuendo il potenziale di adattamento dei bioti autoctoni». Secondo lo studi le aree stabili dell'Australia, caratterizzata da un alto livello di conversione e da un basso livello di protezione degli habitat mediterranei, hanno la massima priorità per gli investimenti in strategie di adattamento climatiche per ridurre la minaccia alla ricca biodiversità del bioma mediterraneo.

Gli habitat mediterranei sono tra quelli che hanno la massima priorità di salvaguardia per la forte biodiversità e densità delle specie vegetali che ne li pongono come livello di importanza al pari delle foreste tropicali: le cinque aree a clima mediterraneo coprono solo il 2% della superficie terrestre ma ospitano il 20% delle specie conosciute di piante vascolari di tutto il pianeta. Ma,come dicono Klausmeyer e Shaw, il clima mite e la vicinanza al mare rendono attraente questo bioma anche per gli uomini, con un conseguente uso sproporzionato dei suoli a fini agricoli e lo sviluppo di altri utilizzi antropici.

«Nonostante questi biomi abbiano ancora una relativa ricchezza biologica  - scrivono i ricercatori - le forme di gestione del territorio per la salvaguardia della biodiversità sono in ritardo, sono al secondo posto più basso del livello di protezione del territorio fra tutti I 13 biomi terrestri. Entro il 2100, per il bioma mediterraneo si prevede in proporzione la più vasta esperienza di perdita di biodiversità tra tutti I biomi terrestri a causa della sua notevole sensibilità alle molteplici minacce alla biodiversità ed all'interazione tra queste minacce».

Rischiamo quindi di perdere quello che ai nostri occhi mediterranei sembra un ambiente usuale e comune, non certo eccezionale, e che invece è il frutto di una straordinaria varietà di piante endemiche che sono il risultato di processi evolutivi realizzatisi grazie alla caratteristica unica cicli annuali di estese siccità estive e inverni freddi-umidi, ad un'alta varietà geografica e ad una bassa fertilità dei suoli. Il cambiamenti climatico avrà un forte impatto ed un'ampia estensione sull'ambiente mediterraneo, mettendo in pericolo la sopravvivenza di molte specie.

Secondo gli studi sulle 5 regioni mediterranee presi in esame ed incrociati tra loro ci saranno significative riduzioni soprattutto nelle popolazioni di specie endemiche, sia per quanto o riguarda le diminuzioni del loro areale di distribuzione che per le dimensioni delle popolazioni. «Per esempio - si legge su PloS One - in California, il 66% dei taxa endemici di  piante sperimenteranno un range di riduzione di >80% entro il secolo. Midgley ed altri fanno una proiezione del 51 - 65% di riduzione per il bioma mediterraneo del Sudafrica per il 2050, e che solo il 5% delle specie endemiche di Proteaceae "modeled" manterranno più dei due terzi del loro attuale areale. Tuttavia, ognuno di questi studi è limitato ad una delle cinque regioni mediterranee e, in generale, si concentra sui risultati di uno o di alcuni dei 23 modelli di circolazione generale atmosfera-oceano (Aogcm). In questa analisi, ci focalizziamo sulle turnazioni previste nel clima mediterraneo, utilizzando una metodologia coerente per tutto il mondo. Questo consente il confronto tra le regioni ed evidenzia le aree dove sono necessarie più urgenti azioni di adattamento al cambiamento climatico. Rappresenta la prima analisi a livello di bioma del cambiamento climatico utilizzando tutti gli Aogcm analizzati dal fourth assessment report dell'Intergovernmental panel on climate change's (Ipcc). Infine, stimiamo le potenzialità di facilitare l'adattamento delle specie all'interno di una regione attraverso la stabilità climatica delle aree protette o attraverso vie di migrazione verso condizioni climatiche ottimali, basandosi sulla attuale distribuzione di aree gestite per la conservazione della biodiversità, sui modelli attuali di conversione dei suoli e sulla magnitudine dei futuri impatti del cambiamento climatico. Ci riferiamo a queste misure come "extrinsic adaptation potential" che illuminano le caratteristiche del paesaggio per facilitare l'adattamento delle specie, in contrasto con le "species-specific characteristics" che determinano "intrinsic adaptation potential" , come la dispersione delle capacità o della diversità genetica. L'adattamento potenziale intrinseco od estrinseco definisce l'insieme dell'adattamento potenziale delle specie».

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