[03/05/2010] News

Il business delle regole che non ci sono inquina anche le rinnovabili

GROSSETO. Chi semina vento raccoglie tempesta, dice un vecchio adagio. Ed è quello che si dovrebbe evitare di fare parlando di rinnovabili, con il rischio di screditare lo strumento (le energie rinnovabili) per alcuni vizi che come in tutti i business (intesi nel senso neutro del termine) vi si possono celare.

Quando poi di questi vizi sono responsabili non tanto, appunto, gli strumenti stessi, ma chi dovrebbe indicare le modalità (le regole quindi) con cui governarli: il rischio è altrimenti quello di buttare via il bambino assieme all'acqua sporca. Anche perché il bambino, ovvero le rinnovabili, non è il caso di buttarle, se non altro come dice Paride De Masi responsabile rinnovabili di Confindustria, perché «l'Italia non ha alternative: c'è un obiettivo europeo da raggiungere» che per noi vale il 17%.

Da tempo invece si assiste a una campagna che mette assieme problemi di natura diversa e che ha come risultato (voluto o no) quello di creare molta confusione e discredito nei confronti delle energie rinnovabili.

Anche la scorsa settimana la copertina dedicata dal settimanale L'espresso all'eolico in Sardegna (venti di mafia) si poteva leggere come un duro attacco allo "strumento energia rinnovabile" in sé ("Il business dell'eolico. Il ricco bottino dei fondi pubblici") anziché - come poi si spiega andando avanti nell'articolo - un affare su cui sta indagando la procura di Roma e su cui vi sarebbero implicati imprenditori legati ad alcune cosche mafiose e faccendieri di cui purtroppo il nostro paese è pieno. Una faccenda che poteva riguardare l'eolico come qualsiasi altra cosa.

Così come il rischio bolla che potrebbe interessare il fotovoltaico di cui si parla sul Sole24 ore di sabato. Un rischio che potrebbe essere innescato dal fatto che vi sono imprenditori che lucrano sulle autorizzazioni che riescono ad ottenere, rivendendole poi a chi è davvero interessato a installare pannelli per produrre energia dal sole. Imprenditori, e non operatori delle rinnovabili, che quindi di mestiere chiedono autorizzazioni per poi rivenderle. Sia per impianti che sfruttano il vento che per quelli che usano il sole per fare produrre energia. Un meccanismo arcinoto e assai inflazionato nel nostro paese già dai tempi del Cip6 e che quindi non riguarda solo le vere energie rinnovabili, eolico e solare, ma che ha contrassegnato la realizzazione in passato di tanti altri impianti.

E che non ha nulla a che vedere con gli incentivi pubblici dal momento che - è bene sottolinearlo- le energie rinnovabili ricevono incentivi pubblici solo ed esclusivamente nel momento che questa energia viene prodotta e nel caso del conto energia ceduta alla rete. Prima che avvenga questo gli incentivi ( che sono comunque alti nel nostro paese più che in altri) non c'entrano niente, il business- quando c'è- è solo privato.

Un meccanismo che potrebbe essere interrotto se solo queste ormai famose linee guida nazionali venissero pubblicate e se il decreto sul nuovo conto energia continuasse il suo iter, fermo invece da mesi.

La necessità di adottare linee guida nazionali (attese dal 2003), in maniera tale da stabilire i principi da seguire per il rilascio dell'autorizzazione unica e il corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, con specifico riguardo a quelli eolici, è stata ravvisata di recente anche dall'Antitrust.

Linee guida che, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con quello dell'Ambiente e quello per i Beni culturali, dovranno essere approvate in sede di conferenza unificata. Ma il provvedimento ancora latita e questo ha creato il proliferare di una legiferazione autonoma a livello regionale - impugnata a livello nazionale e bocciata dalla Corte costituzionale- creando un vero e proprio caos a livello normativo. Se non addirittura l'immobilismo.

La mancanza di una legislazione unica che vada a sostegno delle diverse realtà rende quindi sempre più spesso difficile l'approvazione di progetti destinati alla produzione di energia pulita ed è alla base di meccanismi di compravendita di autorizzazioni come prima descritti.

Durante questi anni, infatti al posto di una legislazione unica nazionale, sono state autorizzate, si legge in una nota dell'Antitrust, «leggi e atti di indirizzo privi di un comune denominatore che hanno dato origine a contesti normativi di riferimento significativamente difformi, con particolare riguardo alle condizioni richieste per operare nel settore. Ciò si è tradotto nell'introduzione di ostacoli diretti e indiretti nell'accesso al mercato, nonché di ingiustificate distorsioni della concorrenza tra operatori localizzati in diverse aree del territorio nazionale».

Così come il nuovo decreto per il conto energia, che rivedrà molto probabilmente al ribasso le quote degli incentivi e che potrebbe per questo scoraggiare certi business sui processi autorizzativi, doveva già essere discusso dalla conferenza stato regioni ma è poi stato rimandato prima delle elezioni regionali a data da destinarsi e questa data ancora non è stata fissata.

Il problema è allora (ancora una volta) quello delle regole certe, che gli stessi operatori del settore -che hanno solo da perdere da una situazione di caos come quella attuale- invocano da tempo ma che ancora non sono riusciti ad ottenere.

 

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