[23/04/2010] News

La corte di Giusizia Ue: le centrali elettriche per la produzione di alluminio devono rispettare la direttiva 80 del 2001

LIVORNO. La centrale elettrica a carbone, che genera elettricità per la produzione di alluminio, deve rispettare i valori limite per le emissioni di anidride solforosa, di ossidi di azoto e di polveri previsti dalla direttiva europea, perché l'impiego di energia elettrica per produrre alluminio non costituisce un'utilizzazione diretta di prodotti di combustione in un procedimento di fabbricazione e dunque non rientra nelle eccezioni previste dal legislatore europeo.

Lo afferma la Corte di Giustizia europea che condanna Il Regno Unito perché non avendo assicurato l'applicazione della direttiva alla centrale elettrica gestita dalla Rio Tinto Alcan Smelting and Power (UK) Ltd a Lynemouth, nel nord-est dell'Inghilterra, è venuto meno agli obblighi della direttiva.
Infatti nonostante si tratti di un impianto di combustione con una potenza termica nominale superiore a 50 MW ( dunque rientrante negli artt. 1 e 2, n.7, prima frase, della direttiva 2001/80) dall'inizio del 2006, il Regno Unito non applica più i disposti comunitari a tale centrale elettrica.
La centrale elettrica a carbone di Lynemouth (sulla costa orientale dell'Inghilterra) produce energia elettrica quasi completamente utilizzata per la fabbricazione di alluminio attraverso l'elettrolisi ignea (cd.processo di Hall-Héroult) nella fabbrica limitrofa. Solo il 9% circa della produzione di elettricità viene immesso nelle rete elettrica.

La direttiva in questione è quella del 2001 (la numero 80) che ha lo scopo di limitare le emissioni di anidride solforosa, di ossidi di azoto e di polveri originati dai grandi impianti di combustione aventi una potenza termica nominale pari o superiore a 50 megawatt.

Una direttiva che si applica - a giudizio della Commissione - a tutti gli impianti di combustione ad eccezione di quelli espressamente esclusi fra cui quelli di combustione non destinati alla produzione di energia e quelli che utilizzano direttamente il prodotto della combustione in procedimenti di fabbricazione.
I prodotti di combustione sono i gas residui, le ceneri e gli altri residui nonché il calore generato durante la combustione (la direttiva definisce l'impianto di combustione come un "dispositivo tecnico in cui sono ossidati combustibili al fine di utilizzare il calore così prodotto"). Mentre la corrente elettrica non è né un prodotto fisico di combustione né calore ma deriva da una serie di operazioni in cui la combustione sprigiona calore che viene utilizzato per produrre, in una caldaia, vapore che, a sua volta, aziona una turbina la quale, infine, genera l'energia elettrica.

Quindi, considerare che l'elettricità costituisca un «prodotto di combustione» richiederebbe un'interpretazione di tale nozione talmente estensiva da includere anche altri prodotti che non derivano direttamente da una combustione e che non corrispondono all'accezione comune di tale espressione né nel linguaggio scientifico né in quello corrente.

Dunque, la direttiva non si limita soltanto a precisare la nozione di «impianto di combustione», ma esclude dall'ambito di applicazione di tale direttiva taluni impianti. Il carattere derogatorio di tale disposizione emerge espressamente dalla sua formulazione, poiché prevede che detta direttiva si applica agli impianti destinati alla produzione di energia «eccettuati quelli che utilizzano direttamente i prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione».

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