[22/04/2010] News

I nani e le ballerine del nucleare

ROMA. Con l'impudicizia degli umili Giuseppe Zampini, ad di Ansaldo Energia - l'azienda di Finmeccanica cui fa capo l'Ansaldo Nucleare  - , rivendica sul Sole 24 ore del 20 aprile scorso le competenze e l'impegno che l'azienda aveva qualche decennio fa sul PWR della Westinghouse, prima del referendum dell'87. Questa filiera infatti - reattore a uranio arricchito moderato da acqua leggera in pressione - era alla base del PUN, il Progetto Unificato Nucleare che doveva vedere l'Ansaldo protagonista. E oggi, trent'anni dopo, questa è la tecnologia dell'EPR di Areva, riconfermato come punta di lancia del "rinascimento" nucleare italiano nella versione perfezionata dall'accordo Sarkozy-Berlusconi del 9 aprile scorso.

Il PUN! Sono pezzi di storia patria. La licenza della Westinghouse era stata ottenuta dalla Fiat ai tempi delle 20 centrali nucleari di Donat Cattin, il ministro dell'Industria che aveva varato il primo piano energetico nazionale del 1975; e la Fiat aveva sostenuto con orgogliosa sicurezza di essere in grado, anzi di aver già interiorizzato questa tecnologia. Insomma reattori nucleari americani sì, ma con sfumature tricolori. Fu con negativo stupore che si apprese pochi anni dopo, era l'inizio degli '80, che tanto laboriosa fatica era valsa un piatto di lenticchie nel gioco di acquisizione di quote Fiat da parte della Libia. E la licenza PWR passò dalle mani della Fiat a quelle dell'Ansaldo, che già deteneva la licenza dell'altro reattore ad acqua leggera, il BWR (Boiling Water Reactor). Cominciò così il tormentone su chi dovesse essere la  capitale del nucleare, se Genova col BWR o Milano col PWR, sempre Ansaldo si intende. Di fatto però la più grande centrale, che entrava in esercizio proprio in quegli anni, era quella di Caorso, un BWR su licenza General Electric. E con le contraddizioni implicite nel gioco degli interessi contrapposti, dentro e fuori l'azienda, anche per Montalto di Castro la scelta fu per un BWR, ma, si giurò, il PUN avrebbe rimesso le cose a posto. Ma fu un intendimento in articulo mortis: Montalto si fermò a tre quarti del cammino, l'Ansaldo di Milano chiuse e non è difficile valutare le competenze rivendicate oggi da Zampini.

La torta nucleare richiede però che molti siano i chiamati alla mensa, certo si tratta di briciole per le imprese italiane e di qualche centinaio di posti da ingegnere, peraltro troppi rispetto alle attuali possibilità. L'ad di Enel, Fulvio Conti, emulo del nostro premier, sta invece già promettendo il 70% delle commesse per l'"isola nucleare", la parte tecnologicamente più pregiata, ad aziende italiane! C'è da sperare che i responsabili di queste aziende si informino su come stanno andando le cose a Olkiluoto-3; e c'è da sottolineare, sommessamente ma non troppo, che in questo modo si conferma quanto si ritiene "avanzata" la terza generazione dell'EPR, se le parti più importanti possono essere affidate a imprese che non sono certo sopravvissute in virtù di un mercato nucleare interno, su quello esterno neanche le facevano giocare!

In questi fermenti nucleari rispunta, ce ne dà commossa e partecipe informazione il giovane Luca Iezzi dalle colonne di Repubblica - Affari & Finanza, l'ipotesi di riattivare la centrale di Caorso. La proposta viene da General Electric, che giura che per appena due miliardi e in solo due anni sarebbe fatta. Lasciamo stare che è stato avviato il decommissioning, seppur nella lentezza garantita dalle capacità di SOGIN, e ignoriamo il contratto da 250 milioni vinto da COGEMA per ritrattare in Francia quel che restava del combustibile irraggiato, è l'idea stessa che ha dell'offensivo. Mettiamo da parte lo sdegno, per il momento. Gli EPR, la generazione celebrata come  "III +" , rispondono con trent'anni di ritardo alle carenze progettuali evidenziate dall'incidente di Three Mile Island, il più grave del nucleare civile in Occidente, con la fusione parziale del nocciolo e la fuoriuscita della radioattività dallo schermo di contenimento; era un PWR  della Babcock & Wilcox entrato in funzione da pochi mesi. La  "III +" è stata liquidata da Carlo Rubbia come un'operazione di  "cosmesi". Non è difficile capirne il perché: proliferazione atomica e scorie radioattive di vita lunghissima restano problemi irrisolti per una progettazione, è bene ricordarlo, nata per scopi militari; di sicurezza intrinseca poi neanche a parlarne perché anch'essa richiederebbe una revisione totale dei principi fisici della dinamica del reattore. "Vogliamo tenere in vita fino al 2050 roba nata nel 1960?", si chiedeva Rubbia. Ma almeno alcuni miglioramenti seppure solo ingegneristici sono stati apportati, e il processo di licensing, nel quale l'EPR sta continuando a prendere botte dalle autorità di controllo, ha il compito proprio di verificare i miglioramenti. Come si fa allora a proporre il "restauro" di un antidiluviano BWR-3, per la cronaca sono arrivati fino al BWR-6? Solo in un Paese percepito come quello dove regnano nani della politica e ballerine sempre più impudiche la GE si poteva permettere di avanzare quella proposta.

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