[22/04/2010] News

Le riforme riguardano anche l'ambiente?

PISA. La domanda è meno banale di quanto possa sembrare. Nei tantissimi interventi, infatti, in cui ci si interroga sulla necessità, possibilità e condizioni per la famose riforme, l'ambiente raramente vi compare. Perché?

Eppure non siamo ancora usciti dagli effetti disastrosi di una serie rovinosa di alluvioni, frane, sfracelli vari che hanno a che fare sicuramente non tanto con la protezione civile e Bertolaso ma con il governo del territorio. Perché il governo del suolo pur dotato a suo tempo di una legge valida oggi fa acqua da tutte le parti? Perché mancano tanti piani dei bacini e quando ci sono finiscono in un cassetto senza quattrini? Perché quando alcuni anni fa la legge fu rimaneggiata in peggio quasi nessuno fece sentire la sua voce?

E se il governo del territorio presenta simili falle tanto che la legge urbanistica che è del 1942 praticamente non si è riusciti a rinnovarla nè punto né poco, mentre quelle più recenti a valide come appunto la 183 sul suolo ma anche la 394 sui parchi sono state azzoppate senza che le stesse istituzioni regionali e locali si siano risentite più di tanto è il caso o no di pensarci?

E non dice nulla il fatto che dove erano previsti due piani- è il caso dei parchi- ora grazie al nuovo codice dei beni culturali- ne occorrono tre. Merita o no attenzione questo stravolgimento, riguarda o no le tanto conclamate riforme ‘federaliste'?

Leggo in un ampio documento ufficiale dell'Upi -la piattaforma delle Province per i candidati alle elezioni regionali approvata dal consiglio direttivo', che per gli enti intermedi si chiede unitamente a molte altre cose ‘la gestione dei parchi e delle riserve naturali' messe in sostanza sullo stesso piano di una serie di attività settoriali che con le aree protette hanno poco o niente a che fare specialmente sotto il profilo istituzionale.

Un profilo che attiene al governo, alla pianificazione -una parola caduta in disuso ma che va finalmente ripresa- di ambiti territoriali che non rientrano quasi mai interamente nei confini amministrativi regionali, provinciali e locali e talvolta neppure nazionali e che richiedono pertanto un ‘governo' a quei livelli di giustezza e adeguatezza di cui parla il titolo V fermo da un decennio in stazione.

Pensare, o meglio illudersi che il governo di queste nuove dimensioni ambientali e non amministrative possa essere gestito restando nel recinto delle assemblee elettive come anche in Toscana qualcuno ha ritenuto e ritiene, porta a non prendere finalmente il toro per le corna.

L'Arno non può essere gestito solo dalla Toscana e ancor meno il Po solo da Piemonte, ma neppure il parco dell'appennino tosco-emiliano e soprattutto non possono essere gestiti senza strumenti di pianificazione agevoli e senza doppioni, né il santuario dei cetacei può essere gestito senza un rapporto adeguato e non finto con la Francia e il principato di Monaco.

Sono questioni estranee al dibattito sulle riforme? Io credo proprio di no anche se finora trovarne traccia è per la verità piuttosto difficile. E visto che le nuove amministrazioni regionali stanno per partire sarebbe bene cominciare a metterle in agenda in Toscana come altrove. Le province in affanno esistenziale nel rivendicare giustamente un ruolo di governo di area vasta come abbiamo visto mettono nel conto sbagliando anche cose sbagliate.

In Toscana se dopo due assessorati che non sono riusciti o non sono stati messi nelle condizioni di approvare la nuova legge regionale sulle aree protette, si riuscirà finalmente a farlo si potrà meglio definire anche il ruolo delle province nella gestione dei parchi senza trasferimenti impraticabili. C'entra tutto questo con le riforme? C'entra eccome perchè richiede una rinnovata capacità del sistema istituzionale nel suo complesso di gestire in ‘leale collaborazione' le nuove politiche piuttosto che scannarsi ancora una volta sulla ripartizione dei ruoli che in ogni caso nessuno può assolvere senza o contro gli altri al nord come al sud e al centro.

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