[22/03/2010] News

Go green. Il nuovo trend della comunicazione - di Diego Masi

Quando si parla di green economy, spesso non si è d'accordo neppure sulla definizione (basti pensare che per i più si tratta di riconvertire la sola produzione energetica da fonte fossile ad alternativa, ovvero nucleare compreso), ma esistono certamente alcuni dati oggettivi sui quali Masi, esperto comunicatore, può affermare la sua tesi di una rivoluzione verde in corso. Mai come adesso, infatti, il tema della sostenibilità è di dominio pubblico.

Almeno a chiacchiere chi, tranne qualche ecoscettico, sta ufficialmente remando contro l'economia ecologica? Ben pochi, verrebbe da dire, tranne la "cricca ato-petrolieri-banche" che non vuole "perdere il proprio potere". Ma neppure le famigerate multinazionali sono ormai del tutto insensibili al tema e anzi, loro per prime dopo anni di puro greenwashing si stanno muovendo efficacemente per ridurre i propri impatti. Il mondo, anche (se non soprattutto), a causa della crisi, sta cambiando. E la green economy sta diventando quasi una scelta obbligata anche per chi mai e poi mai avrebbe pensato di intraprenderla. Di case history ce ne sono in Italia e nel mondo e Masi ha buon gioco nell'elencarli.

Non solo, l'autore ha ben chiaro che l'economia verde, tra qualche anno, sarà l'economia e basta e quello che "chiamiamo mercato green, sarò il mercato". Non solo, anche quella che "chiamiamo green comunication sarà comunicazione": una parte diventerà il tutto. Questo per Masi accadrà perché la rivoluzione parte dal basso, "dalla gente", dalla "consapevolezza che il pianeta è in pericolo". Ma anche perché pure i governi sanno come stanno le cose e dunque saremmo di fronte a una tenaglia: dall'alto e dal basso si spingerebbe per la rivoluzione verde e, questa è l'idea vincente di Masi, tutto questo significa soldi.

Nella sostanza, quindi, l'autore molto freddamente e con poco romanticismo ha ben chiaro cosa muova il mondo e la green economy è convinto che darà modo ai soldi di girare eccome, anche se il solo profitto non sarà più l'unico obiettivo delle imprese. Senza soffermarci troppo sull'analisi di Masi, in linea generale convincente e condivisibile, ci sono alcuni aspetti che invece a parer nostro esclude nelle conclusioni e che minano così in parte tutto il ragionamento. Prima cosa, nell'analisi il perno della green economy è soprattutto l'energia, e quindi i flussi di energia, mentre i flussi di materia vengono piuttosto poco considerati. Tralasciando quindi una gamba fondamentale della sostenibilità.

Si parla di comunicazione, è chiaro, non di azioni di governo, ma visto che Masi punta molto sull'abbattimento da parte delle aziende delle proprie emissioni dovrebbe essere chiaro che i processi di produzioni hanno output - scarti - quasi ad ogni fase della produzione stessa e che questi - in un'ottica di green economy reale - sarebbe madornale escludere. Invece anche per Masi la questione flussi di materia si esaurisce o quasi nel riutilizzo e nella raccolta dei rifiuti urbani, mentre quelli speciali e ancor prima la riduzione stessa dei flussi non è materia esplorata. Se non quando parlando di siderurgia finalmente sostiene che ci sono "imprese che dovranno elaborare standard di processo molto accurati e rendere più verde tutta la supply chain".

Altro aspetto non considerato, e forse questo da parte di un comunicatore è più grave, riguarda le problematiche che almeno in Italia affliggono davvero la green economy: la burocrazia; l'opposizione sistematica agli impianti quali che siano da parte della stessa "gente" che si riempie la bocca con la green economy; una classe politica indecisa e balbettante al momento di mettere in pratica le azioni promesse in campagna elettorale. Esempi? Le contestazioni all'eolico; al solare fotovoltaico; agli impianti di compostaggio; alle tramvie; ai blocchi del traffico.

Per non parlare della sistematica costruzione di piani di indirizzo (vedi quello energetico toscano) buoni soprattutto per non essere considerati a giudicare dai progetti di impianti a biomasse (pure questi contestatissimi) che nascono come funghi e in spregio a tutte o quasi le linee guida del piano fortemente voluto dalla Regione Toscana e approvato dalla giunta e dal consiglio e poi messo in discussione, ahinoi, dagli stessi protagonisti...Magari del caso toscano Masi non è detto che sappia o che debba sapere, ma siamo abbastanza a conoscenza del fatto che altrove non è tanto meglio, anzi.

L'autore giustamente fa notare come sia bastata l'elezione di Obama a far cambiare moltissime cose sul piano ecologico e quanto sia la rivoluzione digitale ad aver contribuito all'elezione dello stesso Obama e alla globalizzazione del tema "green economy". Chi fa comunicazione oggi sa che questo tema non può più essere ignorato, che anzi non è più un tema ma è la base su cui costruire ogni campagna di comunicazione.

Ma per farlo serve una preparazione notevole, altro tema sul quale Masi si spende poco dandolo o per scontato - ma non lo è affatto! - o ignorandolo, e questo sarebbe davvero un grave errore. Se la materia non la conosci come puoi farne perno di un piano comunicativo?

Il presidente di AssoComunicazione ovviamente vuole dimostrare una tesi che sarebbe controproducente anche per noi smontare: ovvero che il mondo deve e sta per cambiare. Inoltre con molta onestà Masi ammette che siamo solo all'inizio; che c'è ancora tutta a costruirla questa rivoluzione; che il percorso non è detto che sarà lineare. Ma il pregio del testo è che oltre ad essere ben documentato, induce all'ottimismo e mostra che una via è possibile nonostante il grave ritardo e che non è utile piangersi addosso.

Per questo dispiace che ci siano le suddette omissioni che avrebbero solo contribuito a mostrare uno scenario più completo che chi deve occupasi oggi di comunicazione "green" non può permettersi di ignorare. Chiudiamo con un'ultima annotazione che ci riguarda anche in quanto parte di quella informazione "green" che nel testo Masi non dimentica di segnalare come fondamentale nel processo di rivoluzione ecologica: l'economia sarà più ecologica per necessità, ma in questa fase il processo lo si accelererà se l'economia riparte, altrimenti se la locomotiva resterà ferma rimarrà al palo anche la sua riconversione. La decrescita - di cui Masi comunque non parla quasi - non dà posti di lavoro; non dà economia; dà solo in parte qualche barlume di sostenibilità ambientale sottoforma di riduzione di consumi, ma non basta da sola a cambiare il mondo, altrimenti lo avrebbe già fatto...

Torna all'archivio