[12/03/2010] News toscana

La filiera del grano duro non c'č pių, addio alla pasta toscana?

GROSSETO. Tempi duri per l'agricoltura, non solo per l'ultimo colpo di coda dell'inverno che ha colpito in questi ultimi giorni il paese. I problemi sono più a monte e ben più strutturali, tra cui denunciati da tempo dalle associazioni di categoria, i costi produttivi, contributivi e burocratici da un lato e i bassissimi prezzi di vendita che agli agricoltori sono imposti dai grandi commercianti o dalla grande distribuzione dall'altro. Su tutto gravano poi le quotazioni di mercato delle materie prime alimentari che hanno subito veri e propri contraccolpi da due anni a questa parte, prima ancora che la crisi economica assumesse i caratteri che conosciamo.

L'ultimo allarme proviene dal settore cerealicolo, dove le quotazioni del grano duro stanno registrando un ribasso senza alcuna flessione positiva. Nel mese di febbraio 2010 - si legge in una nota della Borsa merci telematica - la flessione registrata per il frumento duro è stata del -8,2% rispetto al mese di gennaio 2010. E il confronto con i prezzi dell'anno precedente mostra che le quotazioni sono in forte calo rispetto al mese di febbrai odi un anno fa: -30% su base tendenziale.

Una situazione che ha fatto lanciare un segnale di allarme dalla Cia Toscana che denuncia anomalie nel mercato del grano duro che possono rappresentare una minaccia di crisi profonda per la regione, se non si provvedere a rafforzare la filiera.

Attualmente un quintale di grano viene pagato al produttore 13,80 euro, contro i 25/30 euro/quintale di 2 anni fa, e mentre un prezzo di sopravvivenza è almeno di 30 euro al quintale. Mente restano stabili i prezzi della pasta.

«Con questi prezzi - spiega Alessandro Del Carlo, della presidenza della Cia Toscana - non si coprono nemmeno i costi di produzione, basti considerare che solo nel 2009 il crollo dei redditi degli agricoltori è stato del 25%».

Secondo la Cia con questa situazione «la pasta fatta in Toscana potrebbe essere solo un ricordo. E con essa sono compromesse le prospettive per la cerealicoltura regionale, il territorio, il paesaggio e l'ambiente, non ultima la coesione sociale, considerato che non ci sono valide alternative produttive».

Tutto ciò nonostante che l'Italia sia il paese leader mondiale nella produzione di pasta: il 50% è destinato all'export, e malgrado la produzione di frumento duro sia diminuita di 2,5 milioni di tonnellate rispetto all'anno scorso «i nostri agricoltori - dice Del Carlo - se vogliono vendere il grano, sono costretti a rivolgersi anche al mercato zootecnico. Con la conseguenza che realizzano un prezzo che è il più basso del mondo e ricavi che coprono appena il 30% dei costi di produzione».

Una situazione che viene considerata non più tollerabile e nella quale la Cia vede l'ombra della speculazione.
«Occorre rafforzare la filiera toscana - sottolinea Del Carlo della Cia Toscana - legare quindi il prodotto al territorio di origine, e valorizzare le produzioni di qualità, per dare a chi produce un tangibile valore aggiunto in termini di reddito».

Nel mondo - ricorda l'associazione degli agricoltori-quello del grano duro è un piccolo mercato da 30 milioni di tonnellate, di cui una parte in Asia e Africa è utilizzata per l'auto-consumo.
La quota destinata alle contrattazioni di mercato riguarda un numero ristretto di utilizzatori, la gran parte dei quali sono produttori di pasta del nostro paese, dove i primi 7 pastifici trasformano una quantità che supera l'80% della produzione nazionale.

«Ma siamo sicuri - si domanda la Cia Toscana - che i grani utilizzati dalla grande industria, specialmente quelli importati, sono coltivati con le stesse tecniche produttive, che sia assicurata la eco condizionalità, così come le norme sanitarie, nei diversi passaggi della filiera?».

E anomalie vengono ravvisate anche nelle importazioni della materia prima: stando alle produzioni, il mercato italiano era deficitario di oltre 1,5 milioni di tonnellate di frumento duro, e a inizio campagna è stato inondato da merce proveniente da paesi comunitari ed extracomunitari. All' inizio dell'anno, inoltre, dalla Turchia è arrivata una grande quantità di merce di bassissima qualità conosciuta da tempo come "granetto", un incrocio tra frumento duro e tenero. Da marzo, infine, riprenderanno le importazioni dal Nord America e dal Canada.

«Con queste massicce importazioni - dice Del Carlo - siamo passati da un mercato deficitario ad un mercato eccedentario, che ha costretto la parte agricola a chiedere al ministro dell'Agricoltura l'ammasso volontario, con il ritiro dal mercato di almeno un milione di tonnellate di frumento duro».

Quella delle massicce importazioni è una pratica che snatura la qualità del prodotto e non è compatibile con lo sviluppo di un'agricoltura d'eccellenza legata al territorio.
«Per questi motivi - conclude Del Carlo - ci pare che la strada imposta dagli interessi dell'industria della pasta vada a discapito di consumatori, agricoltori e dello stesso Paese, che vede il paesaggio rurale del centro-sud andare verso un progressivo ed inesorabile degrado. Una deriva alla quale crediamo sia giusto opporsi con forza e determinazione».

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