[12/03/2010] News

La scommessa del recupero del biogas per rendere pił sostenibile la zootecnia italiana

GROSSETO. Alla quinta conferenza dei ministri europei su ambiente e salute che terminerà oggi a Parma e dove sono riuniti 53 paesi non solamente della Ue, il direttore generale del ministero dell`Ambiente e presidente del comitato Cipe che gestisce le quote di emissione del nostro paese, Corrado Clini, ha annunciato che l`Italia adotterà «un programma nazionale per la riduzione dell`impronta di carbonio nel sistema agroalimentare italiano».

Il settore agricolo secondo i dati indicati ieri dal Sole 24 ore sarebbe infatti responsabile del 22% delle emissioni di anidride carbonica, appena tre punti percentuali sotto al segmento dei trasporti.

Ma quando si parla di agricoltura è necessario fare dei distinguo perché all'interno troviamo segmenti che danno diversi contributi: la gran parte provenienti dal settore dell`allevamento e delle carni, mentre il comparto delle colture vegetali annovera diversi sostenitori dei programmi di riduzione delle emissioni.

Secondo i dati illustrati a Parma, l`80% delle emissioni di C02 in agricoltura proviene dall`insieme del ciclo produttivo delle carni (comprendendo l'intera filiera che va dal foraggio alla produzione dei mangimi zootecnici). Proprio il segmento dell'allevamento zootecnico in base ai dati pubblicati sull'Animal science journal illustrati a Parma, sarebbe quello a cui si deve la maggior produzione di gas climalteranti dal momento che un chilo di carne è responsabile dell'equivalente quantità di CO2 emessa da una automobile di medie dimensioni ogni 250 Km e brucia l'energia necessaria a illuminare una lampadina da 100 Watt per 20 giorni. Non solo ma più di due terzi dell'energia impiegata viene spesa per produrre e trasportare il mangime per gli animali.

Del resto anche la Fao imputa all'allevamento di bestiame una percentuale addirittura superiore rispetto a quella prodotta dai trasporti, ovvero il 18% delle emissioni di gas ad effetto serra del pianeta, misurato in termini di CO2 equivalente.
Mentre l'Agenzia europea dell'Ambiente stima, ad esempio, che il settore agricolo sia responsabile di poco più del 9% delle emissioni totali di gas serra dell'UE. Ma poiché l'agricoltura non rientra nel sistema comunitario Ets per lo scambio delle quote, gli Stati membri sono liberi di decidere se includerla o no nei propri interventi per la riduzione delle emissioni.

Per questo motivo l`Italia, come hanno già cominciato a fare altri paesi europei, adotterà un programma nazionale per ridurre l`impatto della filiera agroalimentare. Tra i progetti in esame dal comitato Cipe, presieduto da Corrado Clini, in merito alle quote di emissione c`è infatti la riduzione dell`impatto degli allevamenti, che si pensa di ottenere, ad esempio, incentivando il riutilizzo energetico del metano sviluppato dal letame, e fornendo un indirizzo verso gli allevamenti a pascolo, anziché quelli intensivi che hanno un impatto molto più alto perché gli animali sono nutriti con mangimi a base di granturco e di farine proteiche. Inoltre nelle strategie nazionali contro le emissioni si prevede di promuovere tra i consumatori uno stile di vita più mirato verso un`alimentazione che non metta al primo posto il consumo di carne.

E forse sarà anche l'occasione per trovare un sistema di contabilità capace di attribuire ad un ogni singolo segmento l'effettivo contributo, cosa che attualmente pare difficile reperire.
L'Istat ad esempio unisce nell'attribuzione dei contributi alle emissioni di Co2 il settore agricoltura, con quello della caccia e della silvicoltura contabilizzando una percentuale inferiore al 10% (dato 2007). Ma non compare nelle statistiche il settore dell'allevamento.

Dati recentemente diffusi dal Wwf indicano che il peso della produzione di alimenti è pari al 19% delle emissioni totali di gas serra su scala nazionale, ovvero 104 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.

Di queste, oltre il 45% è causato dalla fase di produzione agricola, il 19% dai trasporti associati alle merci agricole, il 18% dagli allevamenti (fermentazione enterica e letame) e il 13% dal packaging. Di minore entità la invece trasformazione industriale, con una percentuale del 5%.
E così via, girando sulla rete, le percentuali relative al macrosettore agricoltura, allevamenti, agroalimentare indicano percentuali diverse tra loro e difficilmente comparabili dato che si riferiscono a voci diverse.

La stessa Federalimentare ammette che la filiera agroalimentare complessivamente ha un impatto sulle emissioni di CO2 molto significativo, ma che ancora deve essere raggiunta una stima accurata. E che quindi è necessario stimolare un progetto di ricerca specifico per questo settore.

Senza dati certi e confrontabili è infatti difficile, per quanto apprezzabile, mettere in atto piani e programmi di riduzione degli impatti ambientali e altrettanto complicato valutarne l'efficacia.
Un tema che rimanda ancora una volta alla necessità di costruire un sistema di contabilità ambientale cui fare riferimento per attuare politiche volte alla sostenibilità.

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