[11/03/2010] News toscana

Macchiatico negativo e filiera delle biomasse: verso un ritorno all'economia del bosco

FIRENZE. In selvicoltura, è definito "macchiatico" il bilancio economico finale derivante da qualsiasi intervento (taglio, diradamento, ripulitura) effettuato nel bosco, sia esso finalizzato a ottenere una massa di prodotto legnoso nell'immediato o a svolgere interventi destinati a migliorare lo status colturale della foresta.

Il costo di macchiatico è legato, al di là ovviamente della disponibilità di piste e strade forestali per le operazioni di taglio, concentramento ed esbosco (e quindi della "raggiungibilità" del prodotto), agli assortimenti legnosi che si possono trarre dall'intervento selvicolturale, e soprattutto al valore di mercato di questi assortimenti. Tipicamente, cioè, e soprattutto dopo la crisi del legname da costruzione degli anni '60 e '70 del secolo scorso, dei vari interventi effettuabili nei boschi toscani solo alcuni vengono compiuti, mentre altri vengono tralasciati e rimandati al tempo di congiunture economiche più favorevoli per il mercato del legno.

Come spiegato da Antonio Ventre della Comunità montana della montagna fiorentina in un convegno svoltosi a Firenze nel novembre 2008, tra i vantaggi associati alla messa in opera di una filiera corta bosco-legno-energia, cioè alla realizzazione di impianti a biomasse legnose di provenienza locale come quelli già presenti (Rincine) o in corso di realizzazione (Pomino, Castagno d'Andrea, Vallombrosa) nei confini della Comunità montana, si annoverano proprio la potenziale «valorizzazione di assortimenti legnosi non commerciabili nelle filiere "abituali" (ripulitura alvei, diradamenti conifere, potatura di oliveti e vigneti, ecc.)» e la «possibilità di interventi selvicolturali altrimenti non realizzabili perché a macchiatico negativo».

Quanto scritto va osservato sotto una duplice lente: da una parte, questa prospettiva è di fondamentale importanza per la società e l'economia montane, specie in zone come il Casentino e le alture del Mugello dove la filiera del legno ha da sempre rappresentato uno dei capisaldi produttivi e occupazionali. La possibilità di effettuare interventi che sarebbero invece rimandati (o che - peggio ancora - non sarebbero mai svolti) significa intensificare le connessioni presenti nella locale rete produttiva, e quelle tra essa e l'esterno, grazie alla maggiore diversificazione degli assortimenti di materie prime legnose ottenibili.

Inoltre, va considerato che con un più ramificato utilizzo delle risorse legnose disponibili diventano più capillari anche la vigilanza e il presidio sul territorio, ad esempio riguardo all'individuazione delle criticità idrogeologiche e al monitoraggio faunistico.

Dall'altra parte, però, va preso in considerazione anche il rischio di un ritorno al passato in termini di eccessiva pressione sul bosco, espressa sia in termini di prelievi di massa legnosa (e quindi di sottrazione di elementi al locale ciclo biologico), sia soprattutto in riferimento ai vari elementi perturbanti per la biodiversità animale e vegetale annessi alla messa in atto di operazioni selvicolturali: dal calpestio da parte degli operatori a quello effettuato dalle macchine operatrici, all'inquinamento sonoro e "olfattivo", fino soprattutto alla realizzazione delle varie infrastrutture forestali (piste di strascico, piazzole di concentramento, teleferiche ecc.) necessarie per le operazioni. Infrastrutture che hanno anche una notevole utilità a fini escursionistici e/o per le operazioni di vigilanza e anti-incendio, ma che possono rappresentare anche forti elementi di criticità per la stabilità del territorio, per il paesaggio e per la biodiversità, sia in fase di realizzazione sia a lavori ultimati.

E non va dimenticato anche che il "ritorno all'economia del bosco" annesso alla realizzazione di una filiera energetica delle biomasse legnose comporterà anche una maggiore pressione sulle infrastrutture stradali presenti nei distretti montani: e sarà, questo, un elemento che potrà creare ulteriori problemi di impatto (in questo caso, soprattutto sulle popolazioni umane) e che andrà affrontato con particolare focus sulle prospettive annesse alla messa in opera di infrastrutture e sistemi per la mobilità sostenibile, anche in paesi montani: infrastrutture che in alcuni distretti (es. la montagna pistoiese, dove era presente una linea ferroviaria a scartamento ridotto che giungeva fino a S.Marcello pistoiese ed era deputata proprio al trasporto merci) erano presenti fino a metà del secolo scorso, e che sono state poi (troppo frettolosamente?) abbandonate a favore del sostegno alla sola mobilità privata e/o su gomma.

Ben venga il "ritorno" dell'economia montana anche nei suoi aspetti selvicolturali e manifatturieri, e non solo turistici, quindi, e ben venga la messa in opera di filiere bosco-legno-energia: ma che siano delle filiere - e in generale un'economia - improntate alla sostenibilità sotto tutti i punti di vista.

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