[03/03/2010] News toscana

Firenze, verso la cittą metropolitana

FIRENZE. Quasi 100 persone nell'arco della giornata. 70 stabilmente in platea. Workshop densi e partecipati. Relazioni introduttive di altissimo livello. Un clima di serena determinazione nel cercare proposte organiche e coerenti entro la cornice della green economy e della società della conoscenza, per l'area metropolitana Firenze/Prato/Pistoia. Arduo se non addirittura improbo sintetizzare le tante riflessioni sviluppate nella giornata di lavoro.

Eppure, crediamo di avere il dovere di rimarcare alcuni punti salienti della nostra discussione, perché possa rimanerne traccia a futura memoria. Specie in un momento pre/elettorale in cui tutti dissertano su tutto, ma molto spesso senza la necessaria coerenza interna né la conseguente credibilità. E allora, se dovessimo agglutinare le macroquestioni emerse il 27 febbraio scorso, potremmo senz'altro condensarle in quattro grandi suggestioni.

La prima. Economia fa rima con ecologia.

E' finito il tempo in cui industriali e ambientalisti avevano tutte le ragioni per guardarsi reciprocamente in cagnesco. La vera scommessa della contemporaneità è quella dell'indispensabile riconversione ecologica dell'economia. Non è più la vulgata di qualche sparuto ottimista della volontà. E' ormai una necessità avvertita anche dai più rigorosi pessimisti della ragione. L'unica via possibile per uscire a testa alta e con un paradigma di sviluppo convincente, dalla più grande transizione recessiva che la storia moderna ricordi. Da questo punto di vista, la conoscenza appare il prerequisito fondamentale per declinare qualsiasi tipo di politica industriale. Occorre dunque rinsaldare, con uno sforzo che ha forse il solo precedente nell'era della ricostruzione postbellica, i rapporti tra imprenditoria e poli della ricerca universitaria. Uno sforzo titanico eppure indispensabile. Se non vogliamo che la nostra piana diventi semplicemente la vetrina patinata dietro la quale accogliere flussi turistici sempre più aggressivi e opprimenti per l'ecosistema locale. Legambiente individua nella duplice deriva della finanziarizzazione e terziarizzazione dell'economia la principale causa del crac 2008/2010. E, a ben vedere, il motivo principale dell'insensatezza delle politiche territoriali degli ultimi tre decenni. Basate incontestabilmente sulla rendita e sulla speculazione immobiliare. E sul disaccoppiamento rispetto ai paralleli trend demografici. Occorre dunque re-industrializzare l'area metropolitana, valorizzando le riconversioni di processo e di prodotto utili ad intercettare i nuovi bisogni della contemporaneità. Tecnologie avanzate per la produzione energetica da FER, filiera del legno, agricoltura urbana e periurbana di qualità, software ed hardware per i poli del tessile, della meccanica fine, della moda & calzaturiero. Infine, quando si pensa a quell'enorme patrimonio culturale e monumentale che contraddistingue il reticolo urbano della metropoli Firenze / Prato / Pistoia, crediamo sia giunto il momento di creare un polo tecnologico (basato sulle più avanzate tecniche del restauro e della scienza della conservazione, sui processi di gestione e di marketing) al suo stretto servizio. L'ecologia, in altri termini, non può accontentarsi di permeare la sola Soft Economy. Deve bensì innervare di nuovi significati e di nuove prospettive l'economia tutta.

La seconda. Il Parco della Piana non può essere uno specchietto per le allodole

In questo quadro, va inserita la meritoria iniziativa della Regione Toscana volta a declinare e realizzare finalmente l'antico progetto di parco metropolitano. Un'iniziativa che, nelle intenzioni degli uffici regionali, ambirebbe a porsi quale elemento ordinatore e qualificante dell'intera area metropolitana. Non un giardino, non una enclave, non una riserva indiana. Bensì, per dirla con Kant, una nuova "lente" attraverso la quale rileggere ed interpretare le trasformazioni territoriali dell'intera area vasta della Toscana Centrale. Progetto per la verità ambizioso e con radici antiche, se si pensa che i prodromi dell'attuale masterplan sul Parco della Piana si debbono far risalire addirittura allo Schema Strutturale FI-PO-PT e al conseguente Progetto Direttore del parco metropolitano (cit. 1990). Il parco è dunque figlio legittimo della Legge 142/1990, una legge che, pur tra mille imperfezioni ed incongruenze, aveva avuto il merito di porre la questione della valorizzazione delle 14 aree metropolitane del nostro Paese. Cercando di liberarle da annose incrostazioni municipaliste e da vetusti atteggiamenti particolaristici. Che, alle nostre latitudini, possono essere tranquillamente tradotti nella conclamata volontà egemonica di Firenze capoluogo. Ecco, lo vorremmo dire chiaro. Se c'è un corollario necessario al percorso di strutturazione di questo parco (ovviamente distante dalle logiche conservazioniste della L. 394/91), è quello di vedere questa area strategica finalmente affrancata dal suo atavico fiorentino/centrismo. Un reticolo urbano a densità variabile. Con gradienti di passibile tutela differenziati e improntati alla cura, alla ricucitura e infine al "disegno" dei tanti vuoti che ancora lo contraddistinguono. Insomma: il Parco della Piana come ultima grande occasione di riscatto per le comunità locali. Un processo partecipativo imponente e responsabilizzante. Che non può e non merita di esser disatteso. Nessuna delusione può ancora esser tollerata. Per questo, aprendo credito nei confronti di quelle istituzioni che hanno creduto e continuano a credere al progetto di parco, diciamo: od ora o mai più. Si comincino dunque a piantare alberi, si cominci a strutturare la rete della mobilità pedonale e ciclabile, si progetti e si realizzi la segnaletica verticale. Ma soprattutto: si renda sostenibile e coerente a questa idea alta di Parco l'intera progettualità di piano dell'area strategica! Nessuna nuova cittadella sportiva, nessun ampliamento aeroportuale, nessuna ulteriore integrazione delle funzioni macrocommerciali d'area vasta (leggi shopping mall o outlet) potranno quindi esser tollerati.

La terza. Consumo di suolo e paradossi energetici sono facce della stessa medaglia

Re-industrializzare la piana significa per noi anche e soprattutto prevenire ulteriori consumi di suolo. Le trasformazioni delle aree dismesse possono essere un'occasione imperdibile di riconversione industriale di qualità. Non necessariamente, come succede ormai da troppo tempo, la scorciatoia per costruire nuove case e nuovi centri commerciali per un mercato saturo ed esausto al tempo stesso. Case per abitanti virtuali. Centri commerciali senza alcun legame con le specificità dell'artigianato e dei saperi locali. Insomma, occorre invertire rotta. Ed applicare autenticamente lo spirito e la lettera dell'art.3 della LR 1/2005, per il quale  "nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti." Insomma, è un intero modello che va cestinato. Occorre passare, rapidamente, da una società dello spreco ad una nuova cultura della sobrietà. Che sappia, tra le altre cose, rendersi meno schiava di un sistema energetico ancora fondato sulle fonti fossili. Un sistema paradossale che non incrocia affatto domanda ed offerta. Basato com'è sull'assunto per cui ad una domanda eterogenea, diffusa e complessa di energia si deve rispondere con una mastodontica ed indifferenziata offerta di elettricità e gas metano (?!). Un modello, peraltro, che ha permesso la coesistenza di un patrimonio edilizio residenziale (che aspetta da decenni di essere riqualificato architettonicamente ed energeticamente) sostanzialmente sfitto, accanto ad un'enorme domanda di housing sociale inevasa e a cui si tenta di rispondere ancora pervicacemente con l'espansione dell'edilizia popolare. Insomma, in campo urbanistico come in campo energetico, è il paradigma che va cambiato. E occorre farlo presto e bene.

La quarta. In mobilità occorre una "rivoluzione" sia delle politiche che degli stili di vita

Siamo convinti che la classe dirigente che ci governa è specchio fedele della società civile che la sottende. Uno dei settori nei quali questa circolarità certamente non virtuosa è più evidente è quello della mobilità e dei trasporti. Da questo punto di vista, FI-PO-PT ha ben poco di cui rallegrarsi. Siamo infatti l'area metropolitana con il più alto tasso di motorizzazione d'Europa. Entro una cornice nazionale, che ha già il non invidiabile primato del più alto numero di auto ogni mille abitanti (600 !!!). Solo USA (con 760 auto ogni 1000 ab.), Malesia (650 su 1000) e Australia (610 su 1000) fanno peggio di noi, a livello mondiale. Anche qui. Come non accorgersi che questo folle sistema dei trasporti è perfettamente funzionale ed omogeneo al fenomeno dello sprawl urbano?! Si è costruito troppo, si è costruito male e soprattutto in luoghi che solo fino a qualche decennio fa sarebbero stati giudicati inaccessibili.  Questa schiavitù verso l'auto ha determinato e imposto pessimi stili di vita, fino a render possibile le scorrerie di sempre più potenti e voluminosi SUV per le delicatissime strade del nostro reticolo urbano storico. Veicoli sofisticati ed enormi, concepiti originariamente per un uso esclusivamente fuoristrada e che invece oggi infestano di smog e di consumi insostenibili le nostre città. Legambiente promuove invece una rivoluzione dei costumi trasportistici. Occorre, secondo noi, ribaltare la logica dominante. Partendo dai diritti dei pedoni. Dei ciclisti. Di tutti coloro i quali prediligono il TPL alla mobilità privata. In questo senso, FI-PO-PT può e deve aspirare ad una grande nuova progettualità d'area vasta. La metroferrotramvia, che metta in sinergia e collegamento le reti tramviarie urbane, il metrotreno, le piccole stazioni FS sottoutilizzate della piana per un nuovo grande disegno strategico della mobilità sostenibile locale. Una rete fitta di relazioni. Un giacimento enorme di potenzialità. Quartieri autosufficienti, multifunzionali, puliti, facilmente accessibili e liberi finalmente dallo smog!

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