[01/03/2010] News

Terremoto Abruzzo: nel potere dei sindaci la rimozione e il riciclaggio delle macerie

GROSSETO. Ieri a L'Aquila i cittadini hanno dato vita alla seconda protesta in soli quindici giorni per mettere in evidenza i ritardi che li costringono lontani dalle loro case, anche quando le stesse sarebbero agibili o dove le lesioni provocate dal terremoto del 6 aprile scorso avrebbero bisogno di leggeri interventi di ristrutturazione per permettere ai legittimi proprietari di rientrare a casa propria.

Domenica scorsa i cittadini del centro storico erano andati ad appendere simbolicamente le chiavi di casa alle transenne che vietano a quasi un anno di distanza di accedere alle vie del centro storico. Ieri la rivolta delle carriole: quasi seimila persone dotate di una carretta, guanti e pale hanno forzato il blocco dell'accesso al centro storico della città e sono andate a rimuovere simbolicamente le macerie che rendono impossibile iniziare i lavori. E domenica prossima hanno già annunciato che torneranno a ripulire dalle macerie anche l'area di Castello.

Quello che chiedono i cittadini è quindi di far partire la fase due del post terremoto e di rimuovere l'inerzia che ha impedito sino ad ora di portare via i detriti ammassati nelle strade del centro storico de L'Aquila e degli altri 56 comuni del cratere.
Cumuli di detriti e calcinacci che potevano già essere rimossi, perché sono state già varate norme che definiscono come trattarli e chi lo deve fare, senza bisogno di invocare come ha fatto il presidente della regione Abruzzo Giovanni Chiodi, che ha preso il testimone di Commissario da Guido Bertolaso, «l'intervento dell'esercito per rimuovere i detriti», annunciando che questa sarà la richiesta «nell'incontro di mercoledì con il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo».

Lo spiega molto bene un rapporto di Legambiente, che da mesi lavora sul territorio aquilano con l'Osservatorio "Ricostruire pulito" costituito con Libera e Provincia dell'Aquila, e che ieri era la fianco degli aquilani nella protesta delle carriole.

«Le istituzioni, in questi mesi, avrebbero dovuto dare il giusto peso alla necessità di liberare per lo meno le strade dai detriti, come primo indifferibile passo per avviare la ricostruzione - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Non si può non notare il ritardo con cui la questione è diventata prioritaria. Il nostro intento è di definire correttamente i termini della ‘questione macerie' per addivenire al più presto all'adozione di soluzioni operative efficaci».

Il primo punto riguarda la quantità di macerie sulla quale non esistono dati ufficiali, scrive l'associazione ambientalista nel rapporto. Una prima stima di Protezione civile e Vigili del fuoco parla di una forbice che solo per il comune dell'Aquila va da 1,5 a 3 milioni di metri cubi (4,5 milioni di tonnellate). Circa un terzo del totale, vale a dire 1 milione di metri cubi, si trova sulle strade, mentre 2 milioni sarebbero quelle accumulate all'interno delle case e nei cortili.
Quindi, per dare il via alla ristrutturazione degli edifici, sarebbe intanto sufficiente spostare circa un terzo delle macerie. Questa operazione potrebbe infatti dare il via ai lavori sui circa 10 mila edifici danneggiati tra centro storico e frazioni, con le uniche variabili dei 140 siti sotto sequestro per le inchieste della magistratura sui crolli dolosi e il materiale sensibile proveniente da edifici di pregio storico-architettonico.
L'altra questione su cui è stata fatta grande confusione riguarda la classificazione dei rifiuti inerti e il luogo del loro stoccaggio o smaltimento.

Già il decreto Abruzzo del 28 aprile 2009 , spiega Legambiente, prevedeva una riclassificazione delle macerie (da crollo e da demolizioni controllate) da rifiuti speciali a rifiuti urbani (con codice CER 20.03.99). In quanto tali, vige quindi il divieto di smaltimento fuori dall'Abruzzo e quindi per portarle fuori Regione senza trattamento sarà necessario introdurre una deroga con un decreto ministeriale ad hoc. Se invece venissero trattate con tecniche di riciclaggio potrebbero uscire dalla regione senza bisogno di deroghe.

Inoltre, in base all'ordinanza della presidenza del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2009, "il commissario delegato può provvedere, in sostituzione dei comuni (...) alla individuazione dei siti da adibire a deposito temporaneo e selezione dei materiali derivanti dal crollo degli edifici pubblici e privati (...)".
Quindi, sottolinea Legambiente, tanto i sindaci quanto la struttura commissariale avrebbero potuto procedere alla rimozione delle macerie, senza indugi.

Dal momento infatti che il dl Abruzzo assimila le macerie ai rifiuti urbani, con un'ordinanza contingibile e urgente, i sindaci avrebbero potuto disporre la rimozione delle macerie, individuando un sito di stoccaggio temporaneo sul loro territorio.
Le attuali norme permettono in definitiva di intervenire per rimuovere le macerie senza la necessità, come da più parti evocato, di concedere ulteriori deroghe per uscire dallo stallo.
Tra le varie ipotesi del come e a chi affidare il compito di sgomberare le strade dalle macerie Legambiente segnala quella di bandi gestiti da ogni singolo Comune, oppure un unico mega-bando, o l'appalto al genio militare o ai vigili del fuoco da attivare attraverso un intervento normativo ad hoc, con un contributo ridotto o nullo di ditte private. Quest'ultima, scrive l'associazione ambientalista, che a prima vista è un'ipotesi estrema, è quella che consentirebbe, senza dubbio, tempi rapidi e una garanzia di controllo sulle operazioni che eviti il pericolo criminalità.

Riguardo ai siti di stoccaggio, si ricorda che il tavolo Ambiente (costituito a fine 2009 da Regione, Provincia, Comune dell'Aquila, Arta e Forze dell'ordine) ha visitato oltre 20 siti per individuare quelli dove fare un primo smistamento delle macerie, per avviarle alla giusta filiera di trattamento, e quelli dove installare impianti per il trattamento degli inerti per produrre aggregati riciclati. Per la prima fase sono stati finora individuati 3 siti, tutti di proprietà pubblica: l'ex Teges di Paganica, che lavora circa 500 tonnellate al giorno e potrebbe arrivare a mille, uno a Bazzano (frazione dell'Aquila) e uno a Barisciano, entrambi in via di allestimento. Per la seconda fase, il tavolo Ambiente ha giudicato idonei 6 siti abruzzesi (in parte cave dismesse, in parte cave ancora in attività con porzioni da riempire) tutti privati, che verranno messi in gara.

Secondo Legambiente, è indispensabile incentivare la filiera del riciclo degli inerti sia in edilizia (per la ricostruzione post-terremoto e nei cantieri di tutta Italia), sia per il ripristino delle cave dismesse: un'importante opportunità per il rilancio dell'economia aquilana, oltre che per la riqualificazione del settore estrattivo. Anche per questi motivi per il trattamento e il riciclo degli inerti va data priorità allo smaltimento nel territorio abruzzese.

Inoltre l'Abruzzo è la regione italiana che produce la maggior quantità di inerti pro capite, con 8.500.000 i metri cubi di sola ghiaia e sabbia estratti ogni anno: le macerie aquilane potrebbero contribuire alla produzione di materiale riciclato e limitare quindi l'attività estrattiva ai fini della ricostruzione.
Il quadro sembra allora già ampiamente delineato e non sembrerebbe esistessero limitazioni all'agire.

«Ci sono responsabilità chiaramente individuabili - ha detto Angelo Di Matteo, presidente di Legambiente Abruzzo - e l'esigenza di fare chiarezza va incontro all'insoddisfazione dei tanti che, stanchi dell'indecisione delle istituzioni, sono scesi in piazza a manifestare la loro intenzione di essere protagonisti della rinascita della città».

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