[25/02/2010] News

I prezzi delle commodities non frenano il mercato degli imballaggi

LIVORNO. Ieri il Sole 24 ore lanciava l'allarme perché i prezzi delle materie prime stanno spiccando il volo e dopo i segnali arrivati nelle settimane scorse sul petrolio (vedi articoli di greenreport), adesso è la volta dei derivati dell'oro nero, ovvero del settore della trasformazione della gomma plastica, che in Italia conta 130mila addetti e un fatturato intorno ai 18 miliardi. L'aumento dell'uno insomma  si riflette sull'aumento di prezzo dell'altro e questo poi si scarica sugli imballaggi e sui prodotti destinati ai consumatori finali.

E' difficile districarsi in un mercato come quello delle commodities, eppure questo è l'unico modo per interpretare l'andamento economico e prepararsi a cosa accadrà nell'immediato futuro. Il direttore generale della federazione della gomma plastica, Angelo Bonsignori, spiega che sono previsti aumenti del 70-100% dei prezzi entro febbraio, e un ulteriore aumento simile anche a marzo.

In questo caso ad esempio la federazione interviene come a giustificarsi del fatto che non potrà che scaricare a valle questi aumenti: e per valle si intende il mercato degli imballaggi: il 45% delle materie acquistate per la trasformazione della gomma plastica - spiega ancora Bonsignori- è destinata a confezionare imballaggi (mentre il resto va alla componentistica auto e all'edilizia). «Il settore - precisa - in particolare quello dell'imballaggio che quantitativamente è il nostro primo mercato di sbocco, sta finalmente decollando. Questo stillicidio di aumenti sta minacciando la redditività del settore».

Visto dal nostro punto di vista, uno scenario del genere non dovrebbe essere troppo negativo, dato che un alto costo delle materie prime potrebbe (dovrebbe!) in teoria (ma non è così, il perché lo spieghiamo tra poco) invogliare i produttori di imballaggi a cercare alternative, come per esempio le materie prime seconde, che proprio a causa della crisi globale 2008-2009 avevano perso competitività rispetto alle materie prime. Certo, ancora una volta si lascerebbe fare al mercato e alle sue oscillazioni, mentre sarebbe opportuno che a livello politico si indicasse la via più sostenibile ambientalmente e socialmente (in termine di stabilità del mercato).

In realtà ovviamente la situazione è ben più complessa, prima di tutto perché un produttore di imballaggi potrebbe piuttosto cercare il risparmio tagliando il capitale umano (operazione spesso più facile che investire in innovazione e appunto in tecnologie in grado di sfruttare le potenzialità delle materie prime seconde), e poi perché il mercato delle commodities appare sempre più a rischio di speculazioni. Inoltre, a complicare la situazione c'è proprio la natura della seconda vita delle materie riciclate. Proprio sulla plastica, ad esempio, quasi nulla di ciò che è raccolto in modo differenziato come imballaggio ritorna ad essere lo stesso prodotto: il poco che viene riciclato deve scalzare dal mercato altri prodotti, come il legno ad esempio - se si parla di arredamenti per esterni- oppure il pile o altro ancora. E' proprio qui la divaricazione e ciò che sembrerebbe all'apparenza una situazione vantaggiosa, in realtà è una ulteriore mazzata alla possibilità di collocare prodotti riciclati sul mercato.

Infine, e per tornare alla fonte di tutto, checché ne dicano petrolieri e petroliferi, se a fronte di consumi ristagnanti che comunque nell'aria Ocse non torneranno mai più ai livelli del 2007 (da quasi tutti considerato ormai un tipping point), aumenta la domanda e si impennano i prezzi, mentre le lavorazioni rimangono al 77% della capacità, probabilmente qualche problema c'è, a partire dalla disponibilità reale della materia prima. E non è un caso quindi se per esempio la "guerra della Falkland" è riscoppiata proprio ora e non nel 2007.

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