[18/02/2010] News

Egemonie culturali, competitività e vedute lunghe

LIVORNO. «Cultura della cultura vuol dire (sul pianeta Terra) riflettere, anzi sapere che le attività artistiche, la creazione letteraria, la ricerca scientifica, i progetti museografici, la scuola hanno una funzione alta e insostituibile nella società. Sono, anzi in Italia furono, luoghi di consapevolezza e di educazione alla creatività, alla democrazia e ai valori civici e identitari: il cuore di quella capacità di crescita endogena che i migliori economisti individuano come uno stimolo potente all'innovazione e all'occupazione non di quei settori specifici, ma di una società nel suo insieme. Eppure destra e "sinistra" troppo facilmente concordano nel genuflettersi davanti alle Superiori Esigenze dell'Economia di Crisi...».

Le virgolette racchiudono una parte della riflessione di Salvatore Settis che ospita oggi Repubblica e che ci permettiamo di ‘riciclare' nonostante anche in questo giornale si invalsa da qualche tempo il costume ormai comune di concludere il pezzo con il bollino della "riproduzione riservata".

Lo riprendiamo perché ci sembra un utile spunto di riflessione da linkare con tante altre notizie che riportano i giornali di questi giorni: per esempio l'egemonia cinese che si sta allargando a macchia d'olio anche in settori, come quelli della conoscenza e della ricerca, finora considerati blindati, quasi appannaggio di una razza occidentale superiore!

«Nella nuova era finanza e industria seguiranno la rotta dell'avanzamento dell'alta tecnologia. La dimensione di ogni nazione sarà definita dai giacimenti di conoscenze». Questa volta le virgolette sono il pensiero del vicepremier cinese Xi Jinping, e siccome in Cina al contrario dell'Italia spesso i discorsi e i proclami si fanno a cose già fatte, la Cina nel 2010 passerà dall'1,5% a 2% del proprio Pil investito in ricerca (la Gelmini pochi giorni fa ha annunciato con grande euforia che in Italia si passerà dallo 0,56% allo 0,67% in tre anni) . Ma non solo. Il programma dei mille talenti  offre opportunità quasi irrinunciabili per riportare in Cina i cervelli che sono andati a formarsi in occidente: l'anno scorso i 70mila ricercatori cinesi rientrati in patria  (tra il 1994 e il 2006 ne erano rientrati appena mille) hanno beneficiato come minimo del programma "Mille talenti" che offre stipendi tra i 150mila e i 300mila dollari l'anno, una casa, e 1 milione di dollari  per avviare un laboratorio e finanziamenti adeguati per sviluppare i progetti ritenuti migliori.

Perché è chiaro. L'abbiamo ripetuto mille volte. Non c'è solo il bisogno della ricerca, ma il problema è anche quale ricerca finanziare. Il privato per sua natura guarderà alla ricerca che più conviene al suo profitto, magari ravvicinato nel tempo e magari delocalizzando secondo le convenienze del mercato (vedi caso Glaxo). Il pubblico dovrebbe invece investire con una veduta più lunga, dove la ricerca è lo strumento per raggiungere il fine di un miglioramento del benessere collettivo, equamente redistribuito.

In Italia intanto è stato presentato ieri il nuovo assetto e il programma di attività del centro nazionale per il libro e la lettura «per rispondere a un'esigenza - come si legge nel comunicato - prospettata da tutti gli operatori del mondo del libro (a partire dall'Associazione Italiana Editori fino all'Associazione Italiana Biblioteche), il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha reso operativo il Centro per il Libro e la Lettura».

Almeno sono onesti: si risponde con 3 milioni di euro del ministero a un'esigenza «di tutti gli operatori del mondo del libro», non all'esigenza di crescita culturale dei cittadini e del Paese.

Torna all'archivio