[16/02/2010] News

Ipcc: l'indispensabilitą di un lavoro, l'opportunitą di una riforma (parziale)

NAPOLI. L'Ipcc, l'Intergovernmental panel on climate change, che redige per conto delle Nazioni Unite i periodici rapporti sui cambiamenti climatici accelerati dall'uomo e sulle possibilità di contrastarli, si trova da qualche tempo in una singolare condizione. Da un lato ha ottenuto riconoscimenti straordinari. Ha vinto il Premio Nobel per la pace nel 2007 e ha fornito i dati scientifici e le indicazioni politiche, accettate di fatto da tutti i governi, sulla cui base si è tenuta a fine 2009 la Conferenza di Copenaghen, ovvero la quindicesima conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti del clima.

Ma appena prima e appena dopo il summit di Copenaghen, l'Ipcc si è ritrovato nel mezzo du due tempeste. Provocate da due infortuni, di diversa natura. Da un lato il cosiddetto «climagate»: ovvero la scoperta da parte di alcuni hacker, e la conseguente pubblicazione, di varie e-mail scambiate tra scienziati dell'università britannica della East Anglia, collaboratori dell'Ipcc, dove si parla (almeno questa è la versione fatta circolare da molti) si parlerebbe di manipolazioni di alcuni dati sui cambiamenti del clima.

Dall'altro l'esplicita ammissione lo scorso 20 gennaio di un errore, da parte del Working group 2 - uno dei gruppi di lavoro dell'Ipcc, sulla velocità con cui si stanno sciogliendo i ghiacciai dell'Himalaya. Il ritiro dei ghiacci è reale, ma non avverrà totalmente entro il 2035 come sosteneva un documento del gruppo.

È sull'onda di questi due infortuni, che l'Ipcc ha reso pubblici due comunicati: uno, lo scorso 2 febbraio, relativo ai principi e alle procedure alla base del proprio lavoro; l'altro, immediatamente dopo, il 4 febbraio, sul ruolo e le procedure di valutazione del Panel. Nei due documenti si ricorda che l'Ipcc accoglie scienziati di tutto il mondo e di diverse discipline che, su base volontaria, non svolgono ricerca in proprio, ma preparano rapporti periodici di sintesi della letteratura scientifica esistente sulla base di un processo di peer-review del tutto trasparente. Il prossimo rapporto è previsto per il 2014.

I documenti ufficiali non rendono conto tuttavia di un dibattito sulla riforma dell'Ipcc che si è acceso anche all'interno del panel. Dibattito di cui ci hanno fornito le coordinate essenziali le due riviste scientifiche più note al mondo, l'inglese Nature e l'americana Science nei numeri pubblicati la scorsa settimana. Da un lato, su Nature, una serie di autorevoli membri dell'Ipcc che chiedono una riforma nel modo di lavorare del panel, una volta consegnato il rapporto del 2014.

Dall'altro lato, su Science, l'americano Christopher Field - scienziato della Carnegie Institution for Science di Palo Alto, in California; condirettore del rapporto che il Working Group 2 sta preparando per il 2014 e come tale corresponsabile dell'infortunio relativo ai ghiacciai dell'Himalaya - che difende la struttura, il ruolo e le procedure dell'Ipcc. Insomma, lo vorrebbe immutato.

È probabile che l'Ipcc abbia bisogno di una revisione. Il panel è elefantiaco e, per forza di cose, lento e macchinoso. Avrebbe bisogno di maggiore agilità e di maggiore indipendenza. Tuttavia bisogna distinguere tra le varie componenti dell'Ipcc. Alcune possono essere riformate: si possono riformulare le prassi e gli obiettivi dei gruppi che si occupano di scenari futuri e di politiche di prevenzione e di adattamento. Ma va sostanzialmente salvaguardato il lavoro di una componente, quella che si occupa della parte "fisica" del clima: il Working group 1, per intenderci.

Il suo lavoro, è assolutamente indispensabile, perché con prassi tipiche della comunità scientifica, fornisce un quadro condiviso dello stato delle conoscenze sul clima globale e sui suoi cambiamenti. Il lavoro del Working group 1 costituisce la base per ogni valutazione scientifica e per ogni azione politica. E non si vede, in giro per il mondo, chi possa realizzarlo meglio.

 

Torna all'archivio