[15/02/2010] News toscana

La green economy toscana vince se punta sulle periferie

FIRENZE. L'intervento di Riccardo Varaldo su La Repubblica (edizione fiorentina) di domenica 31 gennaio ha proposto una riflessione forte sulla politica industriale della Toscana e sulle prospettive di rilancio dell'economia regionale. C'è da augurarsi che non solo il dibattito pubblico, ma anche i programmi elettorali e di governo sappiano dare una risposta alle questioni che l'economista pisano ha autorevolmente messo sul tappeto.

Una di esse in particolare merita attenzione, anche per il fatto che se ne parla poco: la questione dei divari territoriali. Che la Toscana sia una Regione caratterizzata da un profondo dualismo è cosa nota; che questo rischi di essere un problema grave nella Toscana del futuro è invece spesso dimenticato. In uno scenario in cui la dimensione territoriale delle politiche di sviluppo venisse rimossa, magari in nome di un malinteso centralismo regionale, la Toscana si appresterebbe a dover affrontare nei prossimi decenni al tempo stesso i problemi della congestione e quelli della desertificazione. Il modello di sviluppo attuale che (retoriche d'occasione a parte) è e continua ad essere centrato sulla concentrazione industriale della Valle dell'Arno presenta forti dubbi di sostenibilità.

Tuttavia il problema non può nemmeno essere rubricato tra i tradizionali obiettivi di convergenza, riduzione dei divari etc., di fatto liquidando le periferie della Toscana come piccoli Mezzogiorni di cui compensare ritardi ed handicap geografici.

Notiamo innanzitutto che le periferie della Toscana scontano la sindrome granducale che misura la marginalità sulla distanza da Firenze, come se il sistema regionale fosse (o dovesse essere) un sistema chiuso. E questo è peggio di uno sbaglio: sono occasioni perse. Perché misurare la marginalità della Maremma sui chilometri di distanza da Peretola e non progettare una centralità misurata sui chilometri che la separano da Fiumicino? Perché leggere la Lunigiana come "sede disagiata" e non come testa di ponte della Toscana verso le economie del Nord Italia? E così via dicendo...

Ma le occasioni perse non si fermano qui. In questi anni esperienze europee ed internazionali, ma anche italiane, ci hanno insegnato alcune importanti novità in fatto di sviluppo economico nell'era della "economia della conoscenza". La prima è che politiche determinate e coerenti possono permettere la localizzazione di accumuli di conoscenza di alto livello e con elevati potenziali di impatto sull'economia di un territorio, in tempi straordinariamente accelerati.

La seconda è che questi accumuli (che significano soprattutto persone, giovani, ricercatori, creativi) non necessariamente prediligono le aree centrali e congestionate, ma possono ottimamente collocarsi in "centri minori", con alta qualità di vita e di servizi, a patto che siano adeguatamente connessi sul piano infrastrutturale e non isolati su quello della cultura e della vita sociale.

Se questo è vero, non stiamo parlando di Mezzogiorni, ma di aree - che proprio per come sono ora - presentano alti potenziali di crescita (e di crescita abbiamo bisogno), per di più con la possibilità di sperimentare modelli imprenditoriali e di intervento pubblico di tipo nuovo. Se veramente si crede nella green economy, è allora forse giunto il momento di farla uscire dagli slogan di moda e farle mettere radici: perché non nelle periferie della Toscana?

 
* direttore Irpet

 

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