[09/02/2010] News toscana

La provincia puņ revocare l'autorizzazione ad un impianto di compostaggio quando le prescrizioni non sono osservate

LIVORNO. La Provincia, a seguito di controlli, può sospendere e revocare l'autorizzazione a un impianto di compostaggio, quando non è conforme alle prescrizioni. Perché né ha la facoltà. Lo ricorda il Tribunale amministrativo della Toscana (Tar) con sentenza di questo mese che dà ragione all'ente pubblico e torto al gestore dell'impianto.

La vicenda ha inizio quando a seguito di ispezione l'Arpat ha dimostrato la presenza di marcati odori diffusi nell'ambiente circostante. Miasmi provenienti dal compost che non presentava caratteristiche di idoneità e provocati dalle modalità di svolgimento dello stesso processo di compostaggio ritenute "fortemente anaerobiche e responsabili anche dell'emissione di cattivi odori".

L'Arpat ha poi constatato che, all'interno dello stabilimento, erano rilevabili in atmosfera oltre 60 pp/m di ammoniaca, valore che esorbita i valori limite indicativi di esposizione professionale agli agenti chimici (quelli fissati dall'allegato 1 del Ministero del lavoro delle politiche sociali 26 febbraio 2004).

Ecco che sulla base dei rilevamenti dell'Arpat l'amministrazione provinciale di Arezzo ha emesso l'ordinanza con cui la società gestore dell'impianto è stata diffidata a sospendere la ricezione dei rifiuti (ad eccezione di quelli lignei) fino alla regolarizzazione dell'attività. Ossia fino all'approvazione da parte della Provincia e dell'Arpat di adeguati e completi manuali d'uso e manutenzione dell'impianto, da predisporsi nel termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento.

Fra l'altro l'autorizzazione ottenuta dall'impianto di compostaggio nella Località di San Zeno prescriveva già che l'attività doveva essere svolta adottando tutte le misure necessarie per evitare l'insorgenza dei problemi igienico sanitari e ambientali e dovevano essere evitati odori, rumori ed emissioni.

L'autorizzazione - così come dispone il legislatore del 2006 - individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per l'attività stessa, contiene, tra l'altro, l'indicazione del tipo e dei quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare; i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ed alla conformità dell'impianto al progetto approvato; le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale; il metodo di trattamento e di recupero.

E quando, a seguito di controlli successivi all'avviamento degli impianti, questi non risultino conformi all'autorizzazione, non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nella stessa autorizzazione, "quest'ultima è sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi". E se durante questo tempo il titolare non adempie ai suoi obblighi l'autorizzazione è revocata.

E' evidente, quindi, che a fronte degli accertamenti eseguiti dall'Arpat l'Amministrazione è del tutto legittimata, sotto il profilo normativo, a imporre la sospensione dell'attività dell'impianto.

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