[05/02/2010] News

Fabi (Sole 24 Ore): No agli incentivi auto, sė a ricerca, innovazione e taglio dell'Irap

LIVORNO. Non fiori, ma opere di bene. Dove i fiori stanno per gli incentivi e le opere di bene per una seria politica industriale. E' quanto chiede l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne al governo. Una questione che ci interessa perché in ballo c'è uno stabilimento, quello Termini Imerese il cui destino pare segnato, e con lei i suoi dipendenti, e perché questo ha molto a che fare con l'economia ecologica e in particolare con la riconversione dell'industria ad essa indispensabile. L'industria dell'auto rappresenta spettacolarmente bene l'insostenibilità del modello economico attuale fondato sulla crescita ad ogni costo e sulla iperproduzione,un modello messo drammaticamente in ginocchio dalla crisi. Ed ora questa industria, che in Italia si chiama Fiat, cerca una via d'uscita avendo ben chiaro - e questa è una notizia - che la strada fin qui percorsa non ha futuro. Le vendite degli anni passati delle auto non torneranno e la sovracapacità produttiva è un limite. Così Termini Imerese diviene per Fiat un fardello non contraccambiabile con una manciata di incentivi e potrebbe invece diventare l'occasione per cominciare a riconvertire, ma servirebbe una politica strategica per l'industria italiana, che non sembra scorgersi all'orizzonte.  Ne abbiamo parlato con Giancarlo Fabi, direttore di Radio24 e già vicedirettore vicario del Sole24Ore.

Che ne pensa di Sergio Marchionne, che si dice  «agnostico rispetto al problema delle misure di sostegno all'auto», e che «l'eventuale scelta del governo di non rinnovare i bonus ci trova pienamente d'accordo» chiedendo però a gran voce «una serie politica industriale per rafforzare la competitività di un settore considerato ovunque trainante»?

«Una politica industriale è per l'Italia, quasi un'araba fenice, che ci voglia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Se ne parla tanto, ma sono fatti solo piccoli passi in avanti. Bisogna tener conto che gli incentivi all'auto hanno, giustamente, favorito l'intero mercato che in Italia è costituito per il 70% dai marchi esteri (e oltre un terzo delle auto vendute in Italia dalla stessa Fiat è prodotto all'estero). Quindi solo un quinto degli incentivi ha  creato un impatto positivo sugli stabilimenti italiani. Per questo interventi di settore sull'auto, ma anche su altri comparti industriali, raggiungono molto più facilmente lo scopo di sostenere in senso strutturale l'industria italiana».

Quale, dunque, dovrebbe essere secondo lei la politica industriale di questo paese alla luce della crisi? 

«Una vera politica industriale dovrebbe consistere in alleggerimenti degli oneri fiscali (partendo dall'Irap che è una tassa che penalizza le imprese che creano posti di lavoro), in un miglioramento delle infrastrutture, in una riduzione dei costi che gravano sul lavoro, in una semplificazione delle procedure burocratiche. Una politica industriale  poi  dovrebbe essere capace di sostenere la ricerca e l'innovazione e di favorire l'istruzione tecnica. E' l'intero paese che deve recuperare competitività anche per attirare investimenti esteri».

Il nucleare sta dentro una seria politica industriale di un Paese come l'Italia?

«Il tema dell'energia deve restare indubbiamente in primo piano: sia per ridurre i costi, che per le imprese in Italia sono maggiori rispetto agli altri paesi europei, sia per la necessità di diversificare le fonti e le regioni di apporvvigionamento. Ma il nucleare richiede investimenti molto grandi e a lungo termine. Secondo me l'Italia ha sbagliato a rinunciare al nucleare in passato, ma ritengo che ora sia necessaria una severa analisi del rapporto costi-benefici anche e soprattutto in riferimento alle eventuali alternative. Gli stessi investimenti richiesti dal nucleare se venissero indirizzati al risparmio e all'efficienza potrebbero probabilmente creare maggiori benefici in termini di costi energetici».

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